mercoledì 28 novembre 2018
Il sindaco: via allo sgombero, pacchia finita. Famiglie sinti divise, scuola a rischio per i minori
Un momento dello sgombero del campo sinti a Gallarate nel Varesotto

Un momento dello sgombero del campo sinti a Gallarate nel Varesotto

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Parte alle 15 lo sgombero annunciato dei sinti dal campo comunale di via Lazzaretto a Gallarate, prima città italiana che vuole liberarsi dei nomadi. Il traffico dell’autostrada per Varese scorre a fianco di questo non luogo della brughiera tra pochi campi coltivati e capannoni industriali. Non ci sono comitati civici né vicini esasperati, è uno sgombero da un terreno di proprietà municipale voluto dal giovane sindaco leghista Andrea Cassani che ha sfrattato 89 concittadini da casette mobili, roulotte e qualche edificio in muratura abusivo. Nonostante lo spiegamento di polizia, carabinieri e polizia locale arrivati con le ruspe alle prime luci di una giornata assolata, tutto si è svolto in modo pacifico. Solo qualche tensione iniziale sedata dalle associazioni che da anni si danno da fare con il campo. Avevano chiesto tempo al sindaco per trovare soluzioni in loco come da direttiva del Consiglio d’Europa: terreni agricoli, cascine per piccoli nuclei.

«Per non buttare via un lavoro di anni – spiega la pediatra Chiara Di Francesco, volontaria cattolica – Caritas, Acli e associazioni laiche si sono prese cura dei piccoli, ad esempio con un doposcuola grazie al quale diversi ragazzi hanno potuto prendere la licenza media». Niente da fare. «La situazione non è così difficile – aggiunge –. Ci sono problemi, ma una buona parte lavora regolarmente o in nero».

«Siamo italiani e viviamo a Gallarate dal 1700 – spiega brandendo la carta di identità un 50enne che chiede l’anonimato – se dico dove abito mi licenziano». Nel campo vivono 40 minori, 20 dei quali frequentano le elementari e la media al comprensivo 'De Amicis'. Il battagliero legale dei sinti, Pietro Romano, mostra 20 certificati firmati dal dirigente scolastico che attestano la frequenza. Alcuni sono andati a scuola lo stesso. «Non ho voluto che vedessero, sarebbero stati male – mi spiega una madre, il volto coperto anche se qui sono tutti cristiani evangelici: non vuole farsi riprendere dalle troupe – . I miei figli restano a scuola perché una maestra si è offerta di tenerli». «Sono venuti in questo terreno comunale nel 2009 – racconta il legale che assicura di difendere le famiglie pro bono, per ragioni umanitarie – mandati dalla giunta di centrodestra, altro che abusivi. Abbiamo incontrato il sindaco sabato scorso chiedendogli di spostare lo sgombero al 10 gennaio, nel frattempo avrebbero abbattuto tre edifici in muratura abusivi, spostato le case mobili e pagato le morosità che ammontano a 20.000 euro». Cassani ha risposto con un ultimatum: tutti via entro le 15 di martedì 27 mentre i soggetti vulnerabili – anziani, donne con figli – avrebbero potuto trasferirsi 30 giorni in una tendopoli riscaldata con un contributo di 1.000 euro a minore. «Abbiamo respinto la proposta non negoziabile che separa le famiglie». Il legale parla di sgombero mediatico e annuncia che denuncerà Cassano e l’amministrazione per crimini contro l’umanità.

Il sindaco nel suo ufficio fa spallucce. Gli chiedo perché ha voluto lo sgombero. «Nel 2011 il Tribunale ha sancito lo sfratto di queste persone che sono lì illegalmente dal 2009. Da marzo le ho informate delle nostre intenzioni. Abbiamo aspettato a sgomberare dopo aver fatto il bando per gli alloggi di residenza pubblica e su 25 famiglie solo una ha presentato la richiesta. Il 13 novembre è stato detto ai rappresentanti del campo che da venerdì 23 ogni giorno sarebbe stato utile per lo sgombero e loro hanno chiesto tempo per spostarsi. Ho chiesto di dimostrarmi questa volontà, fornendomi la richiesta di trasporto eccezionale per le case mobili e un crono-programma. Non è arrivato nulla e la pazienza è finita». Che sarà dei bambini iscritti alle scuole dell’obbligo? La risposta è secca. «Si sono iscritti a settembre». Gli ricordo il settennale lavoro dei volontari al doposcuola. «Mi dispiace per loro – concede – ma non possono essere usati dai genitori per farla sempre franca. Avere campi nomadi è una facoltà, non un obbligo per i Comuni. Noi abbiamo deciso di non averne più. Se vogliono continuare a vivere a Gallarate, cambino stile di vita. È finita la pacchia. La direttiva Piantedosi ha reso più semplice effettuare lo sgombero perché ha anteposto il diritto di proprietà e legalità alla salvaguardia dei soggetti fragili abusivi. Credo che Gallarate sia il primo caso in Italia dove si sfrutta appieno la direttiva». Domando delle famiglie, mi ribatte che molti sono nuclei monogenitoriali. All’anagrafe è vero, ma convivono come altri italiani. A sera i sinti vanno nei camper. Chi non li ha si sposta. Oggi si ricomincia. Per Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana, «un sindaco non può spaccare le famiglie. E i bambini devono andare a scuola. Va trovato un compromesso». Don Virginio Colmegna della Casa della Carità mette in guardia dall’intraprendere cammini pericolosi.

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