giovedì 21 marzo 2024
Ecco le storie di cui l'associazione è venuta a conoscenza grazie alle segnalazioni dei cittadini
I familiari delle vittime di mafia a una marcia di Libera

I familiari delle vittime di mafia a una marcia di Libera - Ansa

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Diventa ancor più lungo il già lungo elenco delle vittime innocenti delle mafie che viene letto il 21 marzo. Quest’anno si aggiungono 12 nomi nuovi, alcuni recenti, perché le mafie non hanno certo smesso di uccidere, altri lontani nel tempo, a ricordarci che, purtroppo, le mafie hanno una storia di oltre un secolo e mezzo. “Dodici storie – scrive Libera – di cui siamo venuti a conoscenza grazie alle segnalazioni di tanti cittadini che, scavando nella memoria dei propri territori, hanno contribuito a farle riemergere dall’oblio. Non si tratta solo di vicende familiari, ma di storie che ci parlano dei nostri territori, di violenze mafiose che hanno colpito non solo le vittime e le loro famiglie, ma l’intera comunità”.

Come nel caso di Salvatore Di Stefano, un vaccaro di 18 anni, la cui storia si trova nel Rapporto Sangiorgi, scritto dal questore di Palermo tra il 1898 e il 1900. Il giovane venne ucciso il 21 luglio 1898 a Torretta (Pa) perché testimone oculare di un omicidio di mafia. Così come il tredicenne Giuseppe Letizia, ucciso l’11 marzo 1948 perché aveva assistito all’omicidio a Corleone del sindacalista Placido Rizzotto. Ad ucciderlo un’iniezione letale, fatta dal capocosca Michele Navarra, medico e direttore dell’ospedale. E il potentissimo mafioso torna anche nella vicenda di Liborio Ansalone, comandante dei vigili urbani di Corleone che nel 1926 partecipò alla retata ordinata dal prefetto Mori, indicando le abitazioni dei mafiosi. Ma “cosa nostra” non dimentica. Così il 13 settembre 1945 un sicario inviato proprio da Navarra lo uccise sotto la sua abitazione. Mario Scuderi è, invece, una delle 108 persone che morirono il 23 dicembre 1978 nella strage aerea di Punta Raisi, l’aeroporto di Palermo, considerato tra i più pericolosi perché costruito tra mare e montagna su terreni della cosca guidata dal boss di Cinisi, Gaetano Badalamenti, il mandante dell’omicidio di Peppino Impastato. Mario voleva fare una sorpresa alla moglie, incinta del loro primo figlio, arrivando a casa prima di Natale. Con sé asveva molti pacchi regalo. Gioacchino Rubino faceva il tassista. Fu ucciso il 9 aprile 1979 a San Giuseppe Jato (Pa) perché ritenuto in possesso di informazioni, proprio a causa del suo lavoro.

Giuseppe Napolitano pagò con la vita la scelta di difendere la sua libertà di imprenditore. Aveva 52 anni e venne ucciso il 22 febbraio 1991 a Messina, davanti al suo negozio di giocattoli. Glielo avevano incendiato ben cinque volte ma aveva detto sempre “no” al pagamento della “protezione” e aveva rimesso in piedi da solo il suo negozio. Non solo Sicilia. Sempre nel 1991, il 29 agosto, identica sorte toccò a Giuseppe Leone, agricoltore e orchestrale di 63 anni, ucciso a Surbo, in provincia di Lecce, perché testimone di un delitto di mafia. Terribile la sorte che toccò al giovane Giuseppe Torre, appena 18 anni, torturato e ucciso il 16 febbraio 1992 a Misterbianco, nel Catanese. I sicari del clan del Malpassotu (Giuseppe Pulvirenti) lo sequestrarono fingendosi uomini delle forze dell’ordine. Volevano informazioni sul covo di Gaetano Nicotra, all’epoca latitante, rivale mafioso che aveva una relazione con la madre di Giuseppe, che però da tempo viveva con i nonni e non sapeva nulla. Infatti neppure le torture più strazianti portarono a delle risposte. Così Giuseppe fu ucciso nel modo più crudele, bruciato ancora vivo in mezzo ai copertoni nella sciara etnea. Un altro imprenditore venne ammazzato il 7 novembre 1994. Si chiamava Rosario Adamo detto "Saro", proprietario di una gioielleria a Rosolini, in provincia di Siracusa. Quattro giovani appartenenti ad un clan mafioso lo uccisero durante un tentativo di rapina. Perché aveva cercato di difendere il suo lavoro e la sua famiglia, in particolare la moglie che era stata aggredita nel tentativo di rapina. Solo dopo 22 anni due affiliati al clan Polverino vengono arrestati per l’uccisione di Giulio Giaccio, 26 anni, di Pianura (Na) rapito e ucciso il 30 luglio 2000 da un gruppo di camorristi, scambiato per un altro uomo che aveva una relazione con la sorella dei due killer.

È invece una vendetta la morte di Giuseppe Femia ucciso il 9 febbraio 2004 a Cittanova (Rc), perché suocero del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, che aveva svelato affari e complicità del violentissimo clan Crea di Rizziconi, responsabile dell’uccisione il 2 dicembre 2018 di Marcello Bruzzese, fratello di Girolamo, raggiunto dai killer in una località protetta a Pesaro, e quasi sicuramente di Francesco Inzitari, appena 18, ucciso il 5 dicembre 2009, per vendicarsi del padre Pasquale Inzitari che aveva testimoniato contro la cosca. L’ultimo nome inserito è di appena un anno fa. Francesco Pio Maimone, 18 anni, ucciso da un colpo di pistola vagante il 20 marzo 2023 agli chalet di Mergellina, sul Lungomare di Napoli, nel corso di una lite tra gruppi rivali. C’è, infine, un nome internazionale, quello di Berta Caceres, attivista per i diritti umani e ambientali uccisa a Tegucigalpa, in Honduras, il 3 marzo 2016. Caceres, fra le altre cose, aveva denunciato la costruzione della diga di Agua Zarca sul Rio Gualcarque, un luogo considerato sacro dal popolo indigeno Lenca, di cui la donna era diventata leader. Che la sua vita fosse in pericolo era noto, tant’è che nel 2009 la Commissione interamericana dei diritti umani l’aveva inclusa nella lista di persone a rischio. La stessa attivista aveva dichiarato pubblicamente di far parte di una lista nera di 18 nomi da “eliminare” nella mani dell’esercito honduregno. Nel giugno 2022 è stato condannato Roberto David Castillo, ex capo della società di dighe idroelettriche Desarrollos Energéticos, reo di avere ordinato e pianificato l’omicidio. Mancano ancora le complicità istituzionali.

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