martedì 2 settembre 2014
​Don Ciotti sereno dopo le minacce di Riina. (Nella foto il Papa e don Ciotti all'incontro con le vittime della mafia, il 21 marzo )
COMUNICATO CEIINTERCETTAZIONI «Il prete che si impiccia va eliminato» | PROCESSIONI Chiesa calabrese: «Per la 'ndrangheta qui non c'è posto»
COMMENTA E CONDIVIDI
La Chiesa fa male alla mafia. La Chiesa che cerca di «saldare la terra al cielo». La Chiesa di papa Francesco, per la quale «una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo» da parte di cristiani che non siano «vino annacquato ». La Chiesa di don Luigi Ciotti e la Chiesa di don Pino Puglisi. Fa talmente male da indurre Totò Riina a sbottare: «Ciotti, putissimu pure ammazzarlo». Settembre 2013. Il boss mafioso passeggia e chiacchiera con il boss pugliese Alberto Lorusso nel carcere di Opera. Si sfoga, va su tutte le furie. Non sa ancora di essere intercettato. Paragona il prete torinese al parroco palermitano. La loro colpa? 'Succhiano' l’aria alla mafia. Don Pino non si limitava a dire messa, chiudendo entrambi di occhi e pure le orecchie, lasciando tutto come stava là, a Brancaccio. «Voleva comandare nel quartiere », ossia sottrarre i ragazzi alle grinfie della malavita, far pensare, ridare alla gente la speranza. E don Luigi? Con Libera, il coordinamento di oltre 1.500 tra associazioni, gruppi, scuole e sindacati, lotta contro la corruzione e l’usura; e soprattutto gestisce alcuni beni sottratti alla mafia, creando cooperative, lavoro e cultura della legalità. Una colpa tremenda, uno sgarbo imperdonabile. «Fa industria, fa agricoltura... un parrino con la scorta...» sottolinea Lorusso. Se la prende con Giovanni Paolo II, Riina, «Papa cattivo» per il suo veemente discorso del maggio 1993 nella Valle dei Templi; meglio Francesco, aggiunge, ma siamo a un anno fa, chissà che cosa avrà pensato il boss vedendo Bergoglio e Ciotti mano nella mano, lo scorso 21 marzo davanti alla chiesa di San Gregorio VII a Roma, insieme con i familiari delle vittime della mafia. Riina teme l’impegno della Chiesa? «Perché la mafia sa fiutare il pericolo» replicava domenica don Ciotti, ieri irreperibile. «I mafiosi sentono che l’insidia viene dalle forze dell’ordine e dai magistrati (Riina si scaglia anche contro Rosario Livatino, il 'giudice ragazzino', ndr) ma anche e soprattutto dalla ribellione delle coscienze, dalla gente che non accetta più il fatalismo e la sottomissione». E vede e tocca con mano i beni, ottenuti dai mafiosi con l’estorsione, il traffico di droga e altre attività illecite che impoveriscono la comunità, generare lavoro, produrre giustizia. La confisca dei beni, per i quali Libera si è tanto battuta, «è un doppio affronto per la mafia – commenta don Ciotti – ma non basta. Va sradicata la mentalità mafiosa, quella dei patti sottobanco, dell’intrallazzo in guanti bianchi, della disonestà condita da buone maniere». Va combattuta la corruzione che «sta mangiando il nostro Paese e le nostre speranze». Nel suo comunicato, Ciotti ribadisce: «Queste minacce sono la prova che l’impegno della Chiesa è incisivo, graffiante, toglie alla mafia la terra da sotto i piedi. Siamo al fianco dei familiari delle vittime, di chi attende giustizia e verità, ma anche di chi, caduto nelle reti criminali, vuole voltare pagina, collaborare con la giustizia, scegliere la via dell’onestà e della dignità». Minacce «molto significative perché – ribadisce don Ciotti – non sono rivolte a me direttamente, ma a tutte le persone che in vent’anni di Libera si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese», persone che sono «cittadini a tempo pieno, non a intermittenza ». Insiste sul 'noi', don Ciotti: «Solo un 'noi', non mi stancherò mai di dirlo, può opporsi alle mafie e alla corruzione. Che non sono solo un fatto criminale, ma l’effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune». Le intercettazioni di un anno fa sono depositate agli atti del processo sulla trattativa Stato - mafia, che riprenderà tra qualche settimana. Secondo i magistrati le affermazioni di Riina sono «genuine»: fino a novembre 2013, quando ci furono le prime rivelazioni sulle minacce al pm Di Matteo, il boss non sapeva di essere intercettato durante l’ora d’aria.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: