giovedì 17 novembre 2011
In 20 anni il fatturato  ha raggiunto i sei miliardi. Seimila aziende danno lavoro a 230mila persone.
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In crescita, innovative e soprattutto un pilastro del welfare. È tempo di tirare le somme a vent’anni dalla nascita della cooperazione sociale, ma è anche il momento di lanciarsi in nuove sfide per adeguare l’azione ai bisogni ed essere protagonisti di un nuovo sviluppo. Forti di numeri che, in piena crisi, vedono il mondo delle imprese di Federsolidarietà e Federazione Sanità quadruplicato per fatturato e numero di occupati, si guarda al futuro fissando obiettivi ambiziosi. La parola d’ordine resta, comunque, innovare nel solco della solidarietà e dell’aiuto reciproco, per superare quel traguardo dei cinque milioni di cittadini che già ogni anno scelgono aziende cooperative per servizi di assistenza socio-sanitaria. Quel che è chiaro è che si è a un punto di svolta. La logica dei tagli dovuti alla crisi, l’invecchiamento della popolazione, l’integrazione degli immigrati impongono di non adagiarsi sul benessere raggiunto e soprattutto «un cambiamento culturale nel rapporto e nella gestione della spesa per il welfare». Lo Stato perciò, è la richiesta della galassia Confcooperative, deve tornare a considerare la «politica sociale non come un costo, ma come un investimento», perché la teoria della scure che va a sforbiciare linearmente sui bilanci sociali «non incide in modo strutturale, ma massacra i servizi fondamentali per il cittadino». In quattro lustri il modello cooperativo ed i suoi valori infatti hanno retto ai cambiamenti, puntando sull’innovazione e colmando le lacune di un sistema assistenziale prosciugato dai budget ridotti. Dal 1991, anno della legge 381 che la istituì, il mondo della cooperazione sociale ha visto crescere il suo fatturato fino a 6 miliardi di euro ed oggi dà lavoro a 230mila persone in 6mila aziende. Più di tutti, poi, ha fatto rete sul territorio, innovando e restaurandosi. Parola di uno studio Euricse (European Institute on cooperative and social enterprise) che vede il 32% della imprese sociali in crescita grazie proprio al loro spirito di adattamento ai nuovi bisogni. Di queste il 60% negli ultimi tre anni ha attivato progetti innovativi, l’80% ha ricavato vantaggi economici da quelle novità e soprattutto il 59,7% è andata a coprire nuovi rischi, «dimenticati dal welfare istituzionale». La legge 381, «strumento essenziale di partenza» per Luigi Marino, presidente di Confcooperative, ha bisogno dopo tanti anni di «una manutenzione straordinaria», ma è l’intero sistema di welfare che va «ammodernato, non abbattuto. Anche per le cooperative è tempo di nuove prospettive, puntando sulla mutualità interna e sulla capitalizzazione». Il bene comune e l’interesse della democrazia, tuttavia, devono continuare ad essere una bussola, sostiene monsignor Arrigo Miglio, presidente del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, «insieme a tre fondamentali parole: unitarietà, speranza e responsabilità», lavorando per coltivare «la fiducia, che non è un valore economico, ma di cui l’economia ora ha bisogno». Il cambiamento è innanzitutto di orizzonti e di razionalizzazione della spesa, visto che una delle fette più sostanziose del Pil nel nostro Paese (il 26%) viene assorbito per sanità e previdenza, ma solo una percentuale irrisoria (lo 0.4%) finisce nel capitolo di spesa del welfare comunale. «Così si picchia pesantemente sulle famiglie, sugli anziani, sui bambini e sui servizi fondamentali per la coesione sociale - dice Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà - il contenimento della spesa pubblica è indispensabile, ma i tagli siano per tutti».
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