mercoledì 24 maggio 2023
I penitenziari scoppiano. Per il numero dei detenuti e la sorveglianza insufficiente. Così le condizioni di vita sono diventate insopportabili e sfociano in ribellioni, violenze, suicidi
Le carceri, ecco perché oggi sono un "pianeta dimenticato"
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Cosa succede nel sistema penitenziario del nostro Paese? E quali sono le emergenze a cui la politica, le istituzioni e la società civile devono farsi carico? Ecco cinque domande, e altrettante riposte, per capire meglio questo “pianeta dimenticato”.

Qual è il tasso di occupazione nelle 192 carceri italiane?

Secondo un rapporto del Cpt (Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti), nel 2022 la popolazione carceraria ammontava al 114% della capacità ufficiale delle strutture. In base ai dati del ministero della Giustizia, al 31 gennaio del 2023 i detenuti presenti erano 56.127 (di cui solo 40.355 condannati in via definitiva) su una capienza massima di 51.403 posti, mentre 1.074 si trovavano in quella data in stato di semilibertà. Nel 39% delle Case Circondariali le celle non rispettano il parametro minimo dei 3 metri quadrati di superficie calpestabile (Osservatorio Antigone) e spesso vengono condivise anche da 5-6 persone. Come rimedio il ministro Guardasigilli Carlo Nordio ha annunciato la chiusura delle vecchie carceri (quelle in cui gli ambienti risultano inadeguati) e l’utilizzo di strutture edilizie compatibili, come le caserme dismesse. Ma si tratta di progetti a lungo termine, prima sarà necessaria una riforma complessiva del sistema penitenziario. Per il Garante dei detenuti, Mauro Palma, il sovraffollamento può essere contrastato anche con un maggiore ricorso alle misure alternative: «Circa 23 mila detenuti stanno scontando una pena o un residuo di pena inferiore a 3 anni: potrebbero quindi accedere a detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale, semi libertà». Papa Francesco ha sollecitato i capi di Stato e di governo ad approvare un provvedimento di clemenza, un indulto, ma non ha avuto finora risposte.

Qual è il rapporto detenuti-agenti di polizia penitenziaria?

L’organico in forza nelle carceri italiane è di circa 37mila agenti di custodia. Il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ne prevede però l’utilizzo di 41.335. Il rapporto tra reclusi e addetti alla sorveglianza è di 1,67: ovvero un detenuto e mezzo per ogni poliziotto (in Francia è del 2,5 e in Spagna del 3,7). Tali figure professionali rappresentano l’89,36% del personale impiegato negli istituti di pena mentre gli educatori sono il 2,17% e il resto è costituito da amministrativi, sanitari e ausiliari. Il 15 marzo scorso il ministero della Giustizia ha indetto un concorso per l’assunzione di 1.713 allievi agenti in ruolo maschile e femminile. Ne mancherebbero ancora oltre tremila. Lo stipendio medio di un agente penitenziario è di 22.500 euro lordi all’anno (1.350 netti al mese).

Perché avvengono tanti suicidi dietro le sbarre?

Nel 2022 i detenuti che si sono tolti la vita sono stati 84, uno ogni cinque giorni. Mai così tanti. A finire nel vortice della morte provocata “per mano propria” sono soprattutto giovani che devono scontare pene irrisorie o che sono in attesa di processo, ma tra i suicidi ci sono anche migranti arrivati in Italia con un barcone attraverso il Mediterraneo (che non conoscono l’italiano e quindi in cella si trovano in estrema solitudine e isolamento sociale) o persone senza dimora che non hanno la possibilità di pagarsi un buon avvocato. Il risultato di queste condizioni "estreme" è la disperazione più totale. «Si suicidano perlopiù quelli che in galera non ci devono stare, soggetti dipendenti da alcol o droga, malati psichiatrici, insomma i più fragili» precisa Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (Spp) che ricorda anche i quattro poliziotti che nel 2022 hanno seguito la stessa sorte. I controlli sono insufficienti a causa della carenza di personale. Dal 1° gennaio 2023 ad oggi i sucidi di “persone ristrette” in un carcere italiano sono stati 24, mentre 60 sono le morti per altre cause (che per la maggior parte risultano “non accertate”).

Come vengono realizzati, all’interno delle carceri, i principi costituzionali (ex articolo 27) della funzione rieducativa della pena e del reinserimento sociale del detenuto? Quali sono le “buone pratiche” in atto?

Le opportunità di lavoro esistono sono insufficienti. Solo il 30% dei detenuti ha un’occupazione e il 4,4% di loro ha un datore di lavoro esterno, nonostante la legge Smuraglia che consente alle aziende di usufruire di benefici e sgravi fiscali per la promozione di attività imprenditoriali in carcere. In media il 7,3% dei reclusi partecipa a corsi di formazione professionale e il 28% a corsi di carattere scolastico. Attività agricole vengono svolte nelle colonie presso le case di reclusione di Isili, Mamone Is Arenas in Sardegna e nell’isola di Gorgona (di fronte a Livorno), tenimenti agricoli sono presenti in 40 istituti penali. I detenuti che lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (la maggior parte) percepiscono una remunerazione pari ai 2/3 di quanto stabilitodai contratti collettivi nazionali di lavoro. Sono circa 250 le attività svolte nei 192 carceri italiani, dall’assemblaggio e riparazione di componenti elettronici alla calzoleria, dalla digitalizzazione dei documenti cartacei alla falegnameria e alla lavorazione di tessuti. È stato dimostrato che con il lavoro il rischio di cadere in una recidiva cala drasticamente del 2% (contro il 70% della media). Tante le esperienze virtuose, tra cui quella del carcere della Dozza di Bologna, dove è stato allestito un Call center del patronato Acli gestito da detenuti regolarmente assunti e quella di Rebibbia, a Roma, dove il gruppo Sirti e Open Fiber hanno definito un programma di lavoro carcerario con l’assunzione di sette detenuti impiegati anche all’esterno. Non vanno dimenticate inoltre l’apertura di un nuovo servizio per il reinserimento dei detenuti a Milano Opera, che aiuta a formarsi e a costruirsi un percorso lavorativo utile quando si finisce di scontare la pena, e la rinomata pasticceria Giotto ai Due Palazzi di Padova .La struttura di Milano Bollate si distingue invece per la formazione scolastica e per aver creato una start up nel campo dell’energia digitale. Per iniziativa della locale diocesi, ad Andria, in Puglia, è nata nel 2019 “Senza sbarre”, dove si sfornano taralli: il progetto si svolge in una ex masseria adattata per permettere il lavoro dei detenuti nella più totale sicurezza.

Come può, il detenuto, vivere la sua condizione in una dimensione più umana anche attraverso la pratica religiosa e l’assistenza spirituale?

Secondo i dati del mistero della Giustizia aggiornati al 15 gennaio 2020 i ministri di culto (non solo cattolici) autorizzati ad accedere agli istituti penitenziari sono 1.505. In ogni carcere esiste una cappella o uno spazio riservato alla pratica religiosa dove i cappellani possono adempiere alla loro missione di culto e assistenza morale alla persona detenuta. «Il nostro è un lavoro di sostegno anche verso la stessa struttura carceraria, spesso in difficoltà - spiega don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani penitenziari -, siamo un punto di riferimento e di incontro e dialogo per tutti, e non solo per i cattolici o i cristiani. Sono 20mila i detenuti stranieri, una presenza che ha sconvolto nel tempo la nostra pastorale che è sempre più basata su un profondo ecumenismo. E non bisogna dimenticare – conclude don Grimaldi - che aldilà della pastorale all’interno della struttura molti di noi aiutano e collaborano con le Comunità di reinserimento che operano all’esterno, favoriscono l’integrazione sociale, accolgono i volontari, mantengono i contatti e sostengono le famiglie».

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