martedì 5 maggio 2009
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L’introduzione del reato di immigrazio­ne clandestina nell’ambito del pac­chetto sicurezza è fonte di preoccupa­zione per movimenti e associazioni. Si rischia in questo modo di negare i diritti umani degli im­migrati e si mette a rischio il riconoscimento dei diritti “fondamentali” alla salute e all’istru­zione di tutti i cittadini. Anche il direttore del­l’Ufficio per la pastorale degli im­migrati della Cei, padre Gianro­mano Gnesotto, ha fatto notare che «potrebbe essere in qualche modo trovata una via di mezzo, distinguendo tra coloro che en­trano nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di fron­tiera e coloro che, invece, essen­do entrati anche regolarmente nel territorio e poi, per molte ra­gioni, hanno visto il loro per­messo non rinnovato e in quan­to tali, irregolari». «Per questi – ha precisato – bi­sognerebbe avere forse un occhio particolare senza l’applicazione di questa fattispecie di rea­to ». E ha poi proseguito dicendo che in assen­za di modifiche «subiremo delle conseguenze notevoli non soltanto per quanto riguarda gli immigrati, ma anche per quanto riguarda i di­ritti fondamentali quali quelli, appunto, della salute o dell’istruzione». Di qui il rischio non so­lo di creare una fascia di cittadini di «serie B», ma di fare degli immigrati delle «non persone». Gnesotto ha sottolineato che «togliere i diritti ad alcune persone, in qualche modo impoveri­sce tutti». Sul disegno di legge sulla sicurezza e sul reato di clandestinità Acli, Caritas italiana, Centro A­stalli, Comunità di S.Egidio, Fondazione Mi­grantes hanno lanciato un appello al governo e ai parlamentari perché vengano adottate «so­luzioni legislative che sappiano coniugare la tutela degli interes­si dello Stato con il rispetto della dignità umana». Dando voce a numerose associazioni e organi­smi cattolici è stata manifestata una forte apprensione per alcu­ne tra le norme proposte che, se approvate, influiranno negativa­mente sulla vita e la dignità del­le persone, oltreché sul bene del­la sicurezza che ci si propone di tutelare. Nonostante dal pac­chetto siano state stralciate alcune parti che ri­guardavano i cosiddetti “presidi-spia” o “medi­ci- spia”, nel testo all’esame della Camera ci so­no ancora aspetti che preoccupano come, ap­punto, l’introduzione del reato di clandestinità. Queste persone «troppo spesso scontano l’e­strema rigidità dei canali d’ingresso nel nostro paese ovvero gli eccessivi ritardi nei rilasci e nei rinnovi dei permessi di soggiorno». Non piace neppure il divieto per gli stranieri privi di per­messo di soggiorno residenti in Italia, di poter effettuare atti di stato civile. Con il rischio di per­dere i figli. La Caritas si è espressa, infine, sul caso del bar­cone rimandato in Libia. «Qualsiasi respingi­mento in mare lede il diritto d’asilo. Ma se non affrontiamo seriamente il tema della richiesta d’asilo le violazioni dei diritti umani si molti­plicheranno – ha dichiarato Quyen Ngo Dinh, presidente della Commissione migrazioni di Ca­ritas Europa e responsabile dell’area immigra­ti della Caritas di Roma –. Bisogna dare ai ri­chiedenti asilo la possibilità di presentare la do­manda nei Paesi di transito, distribuendo poi gli ingressi nei diversi Paesi europei». E poi ha puntato il dito sul fatto che non si può tollera­re che le persone rischino la vita, siano tortura­te e che l’85% delle donne che arrivano a Lam­pedusa siano state violentate. Sul suicidio av­venuto giovedì di una donna tunisina nel Cie di Ponte Galeria a Roma, Ngo Dinh ha denuncia­to che «tutti i Cie, in ogni Paese d’Europa, sono luoghi senza speranza. Sono peggio di un car­cere, dal quale si può uscire con la possibilità di un reinserimento in società. Per questo si veri­ficano tanti casi di suicidi, autolesionismo e de­pressioni ». Occorrerebbe ridurre il numero di persone nei centri e i tempi di permanenza.
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