sabato 11 febbraio 2023
Lega e Fi temono che Fdi rafforzi l'egemonia, per Meloni rischio tensioni sul governo. Pd, M5s e Terzo polo meditano sulle conseguenze delle divisioni: ma il dialogo ripartirà solo dopo le Europee.
Palazzo Chigi. Il governo aspetta i risultati elettorali in Lombardia e Lazio per definire meglio i rapporti di forza interni

Palazzo Chigi. Il governo aspetta i risultati elettorali in Lombardia e Lazio per definire meglio i rapporti di forza interni - Ansa

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Le regionali di Lombardia e Lazio di oggi potrebbero causare un terremoto politico solo in un caso: la vittoria, almeno in una delle due Regioni, di una coalizione guidata dal Pd. Ma il fatto che il campo del centrosinistra si presenti diviso e con formule diverse, contro un centrodestra invece compatto, fa pendere oggettivamente la bilancia verso Attilio Fontana e Francesco Rocca, al di là del peso che potrà avere il temuto “fattore astensionismo”, considerato in aumento. Le attenzioni sono dunque rivolte alle possibili scosse che ci saranno, dopo il voto, dentro le alleanze e dentro i partiti.

Nel centrodestra, o destracentro, da settimane si ragiona solo su un dato: lo scarto che potrebbe esserci tra il risultato di Fratelli d’Italia e quelli di Lega e Forza Italia. Una forbice molto ampia tra il partito della premier Giorgia Meloni e i movimenti politici di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi potrebbe condizionare, pur senza metterlo in crisi, il cammino dell’esecutivo. Sinora per la presidente del Consiglio non è stato semplice gestire i due alleati, nonostante le fasi iniziali della legislatura siano quelle più “comode”.

Ma le difficoltà crescerebbero notevolmente se il Carroccio e Fi uscissero dalle urne con ferite dolorose, tali da richiedere un approccio più “rivendicativo” in maggioranza e nell’azione di governo. Trovare le mediazioni diventerebbe più faticoso. E i dossier su cui Lega e Fi potrebbero voler mettere le bandierine sono molteplici. I balneari, ad esempio. O - dossier molto più scivoloso - la politica estera e le forniture di armi all’Ucraina: nella Lega, in particolare, cresce l’insofferenza perché l’elettorato del Carroccio patisce maggiormente le conseguenze economiche del conflitto; mentre non è un mistero che Berlusconi vorrebbe per l’Italia un ruolo di mediazione.

Considerando che per Meloni la continuità con Draghi sul fronte internazionale è un lasciapassare irrinunciabile, la conseguenza sarebbero maggiori concessioni agli alleati sul fronte interno e comunque maggiori fibrillazioni sui provvedimenti. Ancor di più se la Lega si trovasse in un doppio scenario negativo: non più punto di riferimento della coalizione in Lombardia, a vantaggio di Fdi, e giù nei consensi nel Lazio, a riprova della crisi del sogno di una “Lega nazionale” che aveva portato Salvini al 34,3% alle Europee del 2019.

In Forza Italia, invece, la sfida è quella di restare decisiva nell’aggiudicazione delle due Regioni, di modo da poter continuare a svolgere quel ruolo di “temperamento” ritagliatosi sinora. Certo il voto nelle due principali Regioni italiane sarà altamente indicativo in vista delle Europee 2024, in cui tra l’altro l’esito italiano sarà uno dei fattori-chiave per la composizione del nuovo “governo” di Bruxelles. Non è da escludere che, di fronte a un forte risultato di Meloni, Berlusconi e Salvini possano riproporre l’antico progetto di una federazione a due per aumentare il potere negoziale e impedire alla premier di fare di Fdi quel Partito conservatore italiano a vocazione maggioritaria, che lascerebbe intorno a se solo junior partner.

Ma se la vittoria di coalizione alle Regionali potrebbe aiutare i due alleati di Giorgia Meloni a mettere una garza medica intorno alle ferite, nel centrosinistra le scosse per una doppia sconfitta potrebbero imporre un progressivo ma netto cambio di impostazione. La situazione in questo campo è paradossale: dove il Pd corre con M5s, in Lombardia, il Terzo polo fa da sé; dove dem e calendo-renziani vanno insieme, nel Lazio, sono i pentastellati di Giuseppe Conte ad andare in proprio.

Negli ultimi giorni è sembrata emergere una presa di coscienza dal centro ai 5s, passando per i dem e anche per la sinistra ambientalista: la strategia di regalare rigori a porta vuota a una coalizione, quella di centrodestra, litigiosa sì ma unita davanti agli elettori, potrà forse servire ad aumentare i consensi di chi trae vantaggio dalla crisi del Pd – Terzo polo da una parte e M5s dall’altra –, ma allontana la possibilità di arrivare al governo del Paese.

Il ripensamento è in corso. Stefano Bonaccini, il candidato che parte in pole per la segreteria dem, ieri l’ha detto chiaro e tondo: «Se divento segretario, proporrò agli amici dei 5s e del Terzo polo di provare in futuro a costruire un’alleanza». Ovviamente queste bozze di dialogo non si concretizzeranno subito, complici anche le Europee del 2024 in cui i partiti si confronteranno con un sistema proporzionale. Almeno sino ad allora, i tre principali partiti del campo – Pd, M5s e Terzo polo – si sfideranno anche aspramente per guadagnare posizioni in vista dell’eventuale trattativa. In particolare, è evidente il tentativo di Giuseppe Conte di accreditarsi come leader-guida di questo campo: ma chi è primo e chi secondo tra Pd e M5s non lo si capirà né oggi né alle prossime Regionali e amministrative, bensì tra un anno, alle Europee, con un voto fortemente d’opinione. Sino ad allora si alterneranno tentativi di impostare un lavoro condiviso all’opposizione – sul salario minimo, ad esempio - a distinguo per rafforzare gli elementi identitari. Tuttavia, se oggi la sconfitta sarà dura, per il centrosinistra darsi un orizzonte comune diventerà un obbligo più che una scelta.

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