martedì 7 marzo 2017
Per 13 anni Flavia Agnes ha sopportato le angherie del marito, poi è diventata avvocato ed ha fondato un'associazione che aiuta le indiane vittime di violenza
Flavia Agnes, l'avvocato indiano che difende i diritti delle indiane

Flavia Agnes, l'avvocato indiano che difende i diritti delle indiane

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Abitano le periferie esistenziali della Terra: la quotidianità nelle carceri, il dramma dei migranti, la solitudine delle donne vessate dalla violenza, la desolazione dei luoghi distrutti dalle calamità naturali. E con la loro forza sincera e instancabile di donne, di madri, di sorelle, quelle periferie le cambiano, le rinnovano. C’è un universo femminile che l’8 marzo andrebbe festeggiato per quel che di più fa per il mondo, non per quel che di meno dal mondo riceve. In questo universo la battaglia per farsi sentire è per i diritti degli altri, da difendere a costo della vita, e della vita intera. «La donna è per portare armonia – ha detto papa Francesco qualche settimana fa –. Senza la donna non c’è armonia. Uomo e donna non sono uguali, non sono uno superiore all’altro: no. Soltanto che l’uomo non porta l’armonia: è lei. È lei che porta quella armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella». Ecco la storia di Flavia Agnes, l'avvocato che difende i diritti delle indiane.

«Una volta mi ha fratturato la mano. In genere, però, si accaniva con la faccia. Mi lasciava sempre dei grandi ematomi. Mi ha anche spaccato il naso. Diceva: 'Tu non hai altro a parte un bel viso. Se te lo distruggo non ti resterà niente. Ci sarò solo io'». Per tredici anni, Flavia Agnes ha sopportato, in silenzio, le angherie e i pestaggi del marito. Era suo “diritto” picchiarla. Così era stata educata. E così dicevano le regole, non scritte, del suo Paese: l’India. Nessuna legge, d’altra parte, all’epoca, proteggeva le mogli dalla violenza domestica. «Avevo tre bambini e non sapevo a chi rivolgermi. A nessuno sembrava importare delle mie cicatrici...». Eppure, questa donna esile, dai capelli color argento e gli occhi d’un marrone lucente, ha deciso, con sorprendente coraggio, di ribellarsi all’ingiustizia. E di infrangere un tabù. Non solo per salvare se stessa: a settant’anni Flavia continua a lottare per la dignità delle sue connazionali. In questi giorni è in Italia per partecipare a Voices of Faith,

il quarto festival di narrazione femminile in programma domani in Vaticano, con la collaborazione del Servizio gesuita per i rifugiati (Jrs). La svolta, per lei, è arrivata nel 1980. Per caso. A metterla con le spalle al muro è stato l’incontro con una ragazza impegnata nella battaglia contro una sentenza della Corte suprema che legittimava lo stupro. «La decisione dei giudici aveva creato talmente tanta rabbia che le donne avevano cominciato ad organizzarsi, in gruppi, per protestare – racconta –. Ho sentito che anche io dovevo fare qualcosa. E mi sono unita alla lotta delle mie concittadine di Mumbai». Ci ha messo un anno per riuscire a raccontare loro il suo dramma personale. Con l’aiuto del gruppo, Flavia ha, dunque, lasciato il marito violento ed è tornata nella sua città natale, Rohtas. Là ha deciso di riprendere gli studi e ha scelto la Facoltà di Legge. «Sentivo che, senza quel tipo di formazione, ciò che dicevo non aveva importanza. E volevo ne avesse. Non più per me. Io ormai ero al sicuro. Tante, troppe donne, però, stavano soffrendo, in solitudine. Dovevo aiutarle».

Diventata avvocato, Flavia ha creato, nel 1991, l’associazione 'Majlis': un centro, in cui le vittime di abusi e stupri, ricevono assistenza legale a basso costo e aiuto per ricostruirsi una vita. Finora, oltre 50mila donne hanno potuto ricominciare grazie all’organizzazione. La sua prima, grande battaglia è stata l’introduzione di una normativa nazionale contro la violenza domestica. Il Domestic violence act è stato finalmente introdotto nel 2005. «Troppo spesso, però, la legge resta sulla carta e non viene applicata. Tante donne hanno paura di sporgere denuncia. Magari si rivolgono a noi ma poi si tirano indietro. Non è facile. È una sfida continua. Ma 'Majlis' è sopravvissuta. E questo è già tanto». La strada da fare è ancora lunga. «Ho un sogno: che prima o poi, in India, le cittadine possano rivolgersi a una corte senza timore, sicure di essere protette…».

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