venerdì 24 agosto 2012
​Con l'estate si sono esauriti gli stanziamenti che garantiscono sconti a chi fa lavorare detenuti o li assume a fine pena.
Le aziende "galeotte" fanno fatica di Ilaria Sesana
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«Non lavorare stanca». È uno dei motti, e dei paradossi, del carcere. Dove solo poco più di tre detenuti su cento (2.261 su un totale di 66.897) hanno la possibilità di svolgere un lavoro vero, di imparare un mestiere che offra professionalità e competenze con cui costruirsi una nuova vita a fine pena. Dal Duemila a oggi, il numero di detenuti pasticcieri, falegnami, cuochi e persino birrai assunti da aziende e cooperative è aumentato in maniera significativa. Merito dei benefici contributivi e fiscali previsti dalla legge Smuraglia (193/2000) che incentivano gli imprenditori a portare il lavoro dietro le sbarre. Ma i fondi per le imprese sono rimasti pressoché invariati (poco più di 4 milioni 600mila euro all’anno) e non ci sono mai stati stanziamenti aggiuntivi malgrado i numeri dimostrassero il successo di questo provvedimento.E le risorse non bastano più a coprire il fabbisogno. Era già successo nell’estate 2011, quando diverse cooperative lanciarono l’allarme la prima volta: un intervento in extremis aveva permesso di trovare fondi aggiuntivi per tappare la falla. «Avevamo avuto rassicurazioni sul fatto che questo problema non si sarebbe ripresentato. E invece…», ricorda Nicola Boscoletto, presidente del consorzio di cooperative sociali “Giotto” che da vent’anni opera nel carcere di Padova. Il meccanismo si è inceppato e alle cooperative si chiede di tirare la cinghia. «Ce la faremo fino a luglio-agosto. Ma da settembre a dicembre non ci sarà possibile usufruire dei benefici: dovremo fare tutto con risorse nostre. E questo ci mette in difficoltà», aggiunge Boscoletto. Che non vuole nemmeno pensare all’alternativa di dover licenziare i suoi ragazzi. «È come essere dentro un incubo», commenta a denti stretti.  Nelle stesse condizioni, “Il Cerchio” di Venezia, cooperativa che gestisce una sartoria e una lavanderia nella casa di reclusione della Giudecca e impiega 16 detenute. “Il Cerchio”, tra l’altro, ha realizzato importanti investimenti, acquistando nuovi macchinari proprio per dare più lavoro alle detenute. E invece, come tutte le altre cooperative d’Italia non può farlo: «Eventuali nuove assunzioni – si legge sui documenti dei Provveditorati – non devono prevedere, esplicitamente, la fruizione dei benefici previsti dalla legge 193/2000».Le nuove assunzioni sono comunque possibili, senza però usufruire degli sgravi fiscali e contributivi. «Ma come posso accollarmi il costo di un lavoratore detenuto alle stesse condizioni di un esterno, che però non ha la possibilità di muoversi liberamente», riflette Silvia Polleri, che ha avviato un catering all’interno del carcere di Bollate con la cooperativa “Abc. La sapienza in tavola”. «Inoltre, senza questi benefici, diventa difficile portare avanti nuove realtà di lavoro penitenziario dove non ce ne sono», aggiunge Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà. Le belle esperienze di Milano Bollate, Padova, Venezia e Roma rischiano così di restare isolate. E il Mezzogiorno, dove invece ci sarebbe bisogno di investimenti e lavoro vero, resta ancora una volta in svantaggio.Per far fronte alla crisi e all’incertezza dei benefici, alcune aziende hanno avviato una riduzione del personale “galeotto”. La situazione è drammaticamente evidente in Lombardia dove i detenuti assunti con i benefici della Smuraglia sono passati dai 468 del primo semestre 2011 ai 314 del primo semestre 2012. Non si rimpiazzano i detenuti arrivati a fine pena e i part-time vengono accorpati: invece di assumere due persone se ne prende una sola a tempo pieno. «Per noi è un po’ una sconfitta, vorremmo avere sempre più lavoratori nelle carceri», commentano dal Provveditorato di Milano, che ha anche istituito un’agenzia ad hoc (“ArticoloVentisette”) per incentivare il lavoro penitenziario. «Dobbiamo far capire a chi tiene i cordoni della borsa che i soldi che si mettono nel lavoro non sono una spesa, ma un investimento. Perché si abbassa la recidiva, si evita che le persone tornino a delinquere», conclude Nicola Boscoletto che, malgrado le difficoltà, non vuole saperne di gettare la spugna: «Spero che nessuno si perda d’animo. Chi opera per il bene, alla lunga, avrà la meglio sul male».I benefici previsti per aziende e coopCon la Legge Smuraglia (193/2000) lo Stato prevede agevolazioni economiche e fiscali per aziende e cooperative che assumono lavoratori detenuti, promuovendo attività interne ed esterne agli istituti penitenziari. Le imprese, in particolare, possono usufruire di una riduzione dell’80% degli oneri contributivi per ogni detenuto (o internato) assunto per un periodo minimo di 30 giorni. Un beneficio che prosegue per ulteriori sei mesi dopo il fine pena. Si può inoltre beneficiare di un credito d’imposta che può arrivare fino a 516,46 euro mensili (in base al monte ore) per ogni lavoratore assunto. Anche in questo caso l’azienda può usufruire del beneficio per altri sei mesi dopo la scarcerazione del detenuto. Fra chi ha un impiego solo uno su dieci torna a compiere reatiSbattere in galera chi ha sbagliato «e buttare via la chiave». Perché «devono farsi la galera fino all’ultimo giorno». Ma siamo sicuri che “più carcere” equivalga a “più sicurezza” nella società? L’esperienza di chi lavora negli istituti penitenziari e i numeri forniti dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, dicono proprio il contrario. Tra i detenuti che scontano la propria pena in carcere senza usufruire di nessun beneficio la recidiva è molto elevata: sette su dieci (il 68,4%) una volta riavuta la libertà, tornano a commettere gli stessi reati che li avevano portati in galera la prima volta. Importanti benefici, invece, si fanno sentire tra i detenuti che usufruiscono di misure alternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, liberazione anticipata, detenzione domiciliare). In questi casi la recidiva scende al 19%. Ancora più bassa la percentuale tra i detenuti che hanno la possibilità di lavorare e di imparare un mestiere durante gli anni della reclusione: solo il 10-12% torna a commettere nuovi reati.
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