venerdì 19 ottobre 2018
Sergio Gatti, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore: «affrontato in modo integrale il tema occupazione, su Pir e contratti pubblici abbiamo aperto il confronto col mondo politico
Sergio Gatti, vicepresidente del Comitato scientifico della Settimana Sociale

Sergio Gatti, vicepresidente del Comitato scientifico della Settimana Sociale

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«Non sono state chiacchiere». Sergio Gatti è uomo di numeri, di dati, di fatti. Fa un certo effetto, dunque, sentirlo sostenere che la Settimana Sociale di Cagliari (26-29 ottobre 2017) «ha lasciato un segno nella politica, perché abbiamo ottenuto attenzione su quasi tutti i temi sollevati e provvedimenti su alcuni». L’intervista anticipa il bilancio che sarà tracciato il 29 ottobre a Roma dal Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, di cui Gatti è vicepresidente.


La Settimana Sociale si concluse con una trentina di proposte concrete e quattro richieste al governo. Che fine hanno fatto?
Alcune sono state accolte, altre sono diventate un provvedimento legislativo e di governo, altre ancora sono state condivise ma non si sono tradotte in un atto pubblico. Indubbiamente, Cagliari è stata un’edizione originale, per linguaggio, registri, coinvolgimento dei territori, per il dialogo aperto ma soprattutto per quelle proposte mirate e tecnicamente precise. L’attenzione da parte del mondo pubblico c’è stata come raramente prima di allora e c’è stato anche il tentativo di applicare concretamente la Dottrina Sociale della Chiesa.

La sfida più impegnativa che fu lanciata un anno fa era quella di rimettere il lavoro al centro dei processi formativi. Cosa rimane dopo un anno?
Un passo in avanti è avvenuto con la legge di bilancio per il 2018 di Gentiloni che ha accresciuto l’investimento sulla formazione professionalizzante. Sono stati così stanziati 189 milioni per i percorsi Iefp, Istruzione e formazione professionale; 75 milioni per apprendistato e diploma professionale, specializzazione tecnica superiore e alternanza scuola-lavoro; 15 milioni per la formazione nell’esercizio dell’apprendistato. Serve molto di più, naturalmente. Rispetto alla bozza iniziale di legge di bilancio le risorse però vennero incrementate grazie anche ad un emendamento presentato da alcuni senatori che parteciparono alla Settimana.

Seconda richiesta: canalizzare i risparmi dei Pir (Piani individuali di risparmio) anche verso le piccole imprese non quotate, purché rispondano ad alcune caratteristiche di coerenza ambientale e sociale...
Anche sui Pir sono stati presentati degli emendamenti al Senato ma non si è riusciti a incidere perché considerati non accoglibili per ragioni tecniche: i Pir hanno raccolto oltre 10 miliardi di risparmio e sono gestiti dalle case di investimento che, comprensibilmente, tendono a concentrare gli investimenti (il 21%) in azioni e obbligazioni di piccole e medie imprese quotate su piattaforme come Aim Italia, Midex, Star. Non abbiamo avuto successo ma abbiamo evidenziato un deficit del sistema.

Anche la richiesta di un cambio di paradigma del Codice dei contratti pubblici non è andata in porto.
Puntavamo a migliorare il Codice dei contratti pubblici che era stato già opportunamente riformato e il dibattito non si è ancora interrotto.

Avete chiesto di modulare le aliquote Iva in base alla "meritevolezza", ossia premiando le imprese che rispettano criteri ambientali e sociali minimi. Quali spazi si sono aperti?
Siamo entrati nel dibattito in corso a livello europeo. Si parla di armonizzare la fiscalità e di eliminare i paradisi fiscali. Il 30% degli investimenti diretti esteri all’interno dell’Ue giunge da centri finanziari offshore. Ma ci sono almeno 4 Paesi Ue con trattamenti fiscali squilibrati rispetto agli altri 24 Paesi (Lussemburgo, Olanda, Regno Unito, Malta). Spingere per il cambiamento è importante.

Il messaggio di Cagliari è arrivato a Bruxelles?
Abbiamo avuto la partecipazione a Cagliari del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani che ha mostrato particolare attenzione al tema del lavoro che cambia. Nelle settimane successive, le istituzioni europee hanno accresciuto l’attenzione ai temi del lavoro. Il successivo vertice di Goteborg è stato una svolta. Non sto dicendo che l’abbiamo propiziata noi, ma Tajani ha portato con sé, da Cagliari, idee e suggestioni, che a quel vertice si sono tradotte in tre linee di impegno: agevolare l’accesso al mercato del lavoro, assicurare che sviluppi condizioni eque e sostenere la transizione da un lavoro che si perde a un nuovo lavoro. Dopo venti anni, è rinato il Pilastro sociale europeo e verrà costituita l’Autorità europea per il lavoro. Ricordo infine che l’Europarlamento in marzo ha approvato una risoluzione contro il dumping fiscale e sociale.

La Settimana Sociale ha inciso solo sulle politiche del lavoro?
Abbiamo provato ad affrontare il tema del lavoro in modo integrale. Ad esempio, il rapporto che c’è tra lavoro e finanza. Il lavoro nasce nelle imprese che hanno bisogno di investire e lo fanno molto spesso ricorrendo al credito bancario. Nell’Instrumentum Laboris che abbiamo preparato per le giornate cagliaritane, si proponevano anche misure europee per agevolare l’accesso al credito delle imprese. Nel negoziato in atto a Bruxelles in queste settimane fra Commissione, Parlamento e Consiglio (il trilogo) per la riforma dell’Unione bancaria, si sta discutendo di un approccio che accentui la proporzionalità delle norme rispetto ai destinatari, per limitare i costi economici e organizzativi che appesantiscono soprattutto le banche di comunità che sono da sempre le più vicine alle imprese e famiglie, spesso – come per le Bcc – anche con documentata funzione anticiclica.

Le idee di Cagliari hanno un futuro?
Lo possono avere nella misura in cui saremo bravi a continuare a declinare il "metodo Cagliari" sul piano operativo nei territori, con le diocesi, rilanciando Policoro, trasformando "Cercatori di lavoro" in Cantieri, sperimentando un’evoluzione degli oratori, e altro ancora. E a tenere vivo e vitale l’approccio propositivo, anche di merito, sul piano politico-istituzionale. Prendiamo il piano Juncker (investimenti dal 2015 al 2018 per 67 miliardi capaci di innescare investimenti per 344) l’Italia è il secondo utilizzatore dopo la Francia con 8,8 miliardi di euro, che dovrebbero mobilitarne altri 50,1 di investimenti aggiuntivi. Una certa capacità di cogliere le opportunità dunque c’è. Occorre ora fare due cose: misurare quanto e quale lavoro hanno generato in Italia quelle risorse e presidiare il piano 2021-2027, denominato InvestEU, che si sta preparando in questi mesi e varrà complessivamente 650 miliardi. Uno dei due relatori per il Parlamento Ue della bozza di regolamento n. 439 è l’onorevole Roberto Gualtieri: facciamogli giungere indicazioni e proposte concrete affinché quei fondi possano generare lavoro degno e si possa misurarne l’efficacia.

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