Alla fine, Roberto Lassini, l’autore dei manifesti di Milano, che paragonavano i pm alle Brigate Rosse, ha gettato la spugna. Affermando di rinunciare, in una conferenza stampa, alla candidatura nelle liste del Pdl per Palazzo Marini. E scrivendo una lettera di scuse a Giorgio Napolitano. In cui si prende atto che il manifesto «tradiva una rabbia personale con cui ho convissuto per anni e non teneva in giusta considerazione il dolore di altri italiani e delle vittime delle Br e l’attacco non voluto al nostro Stato. Di questo sono amareggiato e pentito». Poi a Radio24 ha aggiunto: «Ho sbagliato, ma ho scritto le cose dette da Berlusconi».Decisivi sono stati due interventi, quelli del presidente del Senato Renato Schifani («Mi aspetto che il Pdl prenda le distanze») e quello del sindaco uscente Letizia Moratti. Che, nel pomeriggio di ieri, ha lanciato un vero e proprio
aut aut: «O me o lui nelle liste, siamo incompatibili». Tutto risolto nello spinoso problema che rischiava di mandare il centrodestra meneghino a gambe all’aria?La questione non è così semplice. Intanto, le liste sono ormai depositate. Per cui Lassini non si può più cancellare, come ha fatto sapere autorevolmente il Viminale. E, dunque, le «dimissioni irrevocabili» nelle mani coordinatore milanese Mantovani e l’impegno di Lassini a «non fare campagna elettorale» lasciano un po’ il tempo che trovano. Perché sono strade politiche e non giuridiche. E potrebbero venire disattese dagli elettori, che potrebbero votare egualmente un candidato finito al centro di una notevole esposizione mediatica. Basterebbero poco più di un migliaio voti di preferenze. A meno che...A meno che, è l’ipotesi che viene fatta circolare tra Roma e Milano, per risolvere il rebus, il buon Lassini non firmi, magari davanti al notaio o con un atto pubblico, l’impegno di dimissioni. Una strada che non dispiacerebbe a donna Letizia. Ma che non tutti, nel partito milanese, sono disposti a seguire. Perché Lassini proprio isolato non è, come dimostra il fatto che ha trovato comunque posto in lista e la cifra piuttosto rilevante (pare attorno ai 40 mila euro) che ha speso per quei manifesti. La Lega è preoccupata e si schiera dalla parte della Moratti. Dice Matteo Salvini, senza entrare nei dettagli: «Lassini ha fatto una cavolata [ma l’espressione era più forte, ndr]. Se si ritira, bene: altrimenti non prenderà voti. Ma adesso parliamo di cose concrete, altrimenti la gente perde la pazienza». I giudici, a Milano città, godono da sempre di buona reputazione. I sondaggi, con l’uscita dell’Udc e di Fli dall’alleanza pro-Moratti, dicono che il sindaco uscente rischia di non essere eletta al primo turno. E il ballottaggio è sempre un’incognita pericolosa. Alla Camera si ricorda il caso speculare di Rutelli, candidato sindaco a Roma per il centrosinistra, che arrivò primo al ballottaggio ma poi fu sconfitto al secondo turno da Alemanno.Le opposizioni a Milano e a Roma sguazzano. E chiamano in ballo anche Silvio Berlusconi, che sulla vicenda è rimasto in silenzio. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani nota: «Le liste del Pdl? Raccolgono quello che hanno seminato...». Chiosa Pollastrini: «Moratti ha scelto la protezione di un capolista pesante che quotidianamente conduce una guerra senza limiti contro in giudici». E Massimo Donadi (Idv) aggiunge: «Moratti chieda un passo indietro anche a Berlusconi, che dei manifesti è il mandante morale».