sabato 23 luglio 2016
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La Procura nazionale antimafia non chiude alla legalizzazione della cannabis, ma solo se rigidamente gestita dallo Stato, in regime di Monopolio. Altrimenti c’è il rischio che torni in mano alle mafie così come successo con la legalizzazione dell’azzardo. Lo scrive in una nota inviata il 20 giugno alla commissione Giustizia della Camera. Il 'sì' è stato già sbandierato ampiamente dai politici pro legalizzazione. Assolutamente ignorati, invece, i rigidi paletti della Dna. «Appare sicuramente condivisibile – si legge – l’idea di inquadrare la cannabis fra i generi di Monopolio. L’assimilazione cioè del regime giuridico a quello dei tabacchi ».

 

Ma, avverte la Procura guidata da Franco Roberti, «deve essere portata avanti con coerenza e senza tentennamenti ». Invece, denuncia, «l’idea di creare, quanto al commercio al dettaglio della cannabis, una (inevitabilmente) nuova rete di esercizi commerciali dedicata solo alla vendita di questo prodotto, desta forti perplessità». Il motivo è grave. «Non diversamente da quanto si è avuto modo di constatare in altri settori di recente legalizzati (ad esempio quello delle scommesse) questo nuovo affare attirerebbe inevitabilmente gli interessi del crimine organizzato».

 

Ancora più netta la contrarietà alla libera produzione, prevista nelle proposte di legge. «Appare assolutamente non condivisibile scrive in 'neretto' la Dna - l’idea di autorizzare la coltivazione in forma associata». Perché può «essere un ulteriore cavallo di Troia per far rientrare nell’affare la criminalità organizzata che attraverso le associazioni in questione, potrebbe acquisire un importante e ulteriore opportunità per produrre e commerciare la cannabis». Anche perchè «le possibilità per la criminalità di creare e governare associazioni 'fantasma' composte da persone spesso inconsapevoli, ovvero da meri prestatori d’opera o, semplicemente, da chi presta il proprio nome, sono inesauribili ».

 

E questo vanificherebbe uno dei motivi per i quali la Dna dice 'sì' alla legalizzazione: togliere l’affare alle mafie. E infatti, si legge, la «coltivazione in forma associata porterebbe ad un aggiramento della normativa sul monopolio e a una nuova discesa in campo del crimine organizzato in una materia che, con la legalizzazione, si intenderebbe sottrarre alla sua egemonia ». Inoltre «porterebbe, paradossalnente, sia a livello preventivo che a livello repressivo, a drenare e impiegare quelle risorse umane e finanziarie che invece si volevano liberare legalizzando il settore». Che è il secondo motivo del 'sì'. Ma la Procura esprime «perplessità» anche sulla «coltivazione individuale e 'domestica'» perché «si presta ad abusi e ad aggiramenti del regime di Monopolio ». Infatti, spiega, «se svolta 'in rete' e in modo coordinato, da un numero cospicuo di soggetti, che magari svolgono il ruolo dei meri prestanome, rappresenta un rischio concreto di creazione di un mercato illegale e clandestino».

 

C’è inoltre «un ulteriore grave rischio », cioè che senza controlli possano essere coltivati «prodotti che attirano un mercato di 'nicchia', interessato a un prodotto caratterizzato da un alta concentrazione di Thc e dunque maggiormente nocivo e in grado di indurre maggiore dipendenza». Stesso discorso vale per detenzione e cessione, ovviamente permessa solo per la cannabis di Monopolio (l’altra deve restare penalmente punibile). Mentre dovrebbe essere inserito uno specifico reato di cessione a minori «con sanzioni particolarmente elevate».

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