giovedì 8 luglio 2021
Duro attacco della presidente Von der Leyen alla legge ungherese che, da oggi, vieta ai minori contenuti omosex. «È vergognosa, se non cambia pronti a tutto». Accuse pure al governo polacco
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen - Ansa

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La Commissione Europea agirà contro l’Ungheria per la legge, in vigore da oggi, che vieta contenuti omosessuali per i minori. E dito puntato anche sulle 'aree libere da Lgtbi' in Polonia. In un infuocato dibattito al Parlamento Europeo a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, lancia nuove parole durissime all’insegna anzitutto del governo di Viktor Orbán. «La legge - tuona - usa la protezione dei bambini come pretesto per discriminare contro le persone per via del loro orientamento sessuale. È una vergogna». Dunque «se l’Ungheria non aggiusterà il tiro la Commissione userà tutti i suoi poteri di guardiano dei Trattati. Dall’inizio del mio mandato abbiamo aperto circa quaranta procedure di infrazione legate al rispetto dello Stato di diritto e se necessario ne apriremo altre». Von der Leyen ha citato pure la Polonia: «Non possiamo restare a guardare dice - quando ci sono regioni che si dichiarano libere dagli Lgbti. Non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell’etnia, delle opinioni politiche o credi religiosi».

Il governo ungherese ha reagito con molta decisione. «La protezione dei bambini - ha inveito il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gyulas - è la priorità per il governo ungherese, non importa che Bruxelles vuole far entrare gli attivisti Lgbti negli asili e nelle scuole, ci rifiutiamo di farlo». E Zoltán Kovacs, portavoce del premier, ha definito il dibattito all’Europarlamento «una parata da circo, un nuovo livello di imperialismo coloniale e morale, un attacco all’Ungheria e Orbanofobia». E l’Ungheria, ha tuonato pure la ministra della Giustizia Judit Varga, «non ritirerà la legge, anzi la difenderà con ogni mezzo legittimo».

Contro Budapest sono arrivate parole durissime da tanti eurodeputati, cristallizzate in una risoluzione che sarà oggi approvata da tutti i gruppi tranne i Conservatori (di cui fa parte Fratelli d’Italia) e la destra euroscettica di Identità e democrazia (di cui fa parte la Lega). Nel testo si condanna «nei termini più duri possibili » la legge che «costituisce una chiara violazione dei valori dell’Ue», ed è parte «di una più ampia agenda che sta conducendo allo smantellamento della democrazia e dello Stato di diritto». Con un chiaro monito alla Commissione e al Consiglio Ue «a riconoscere finalmente l’urgenza di un’azione a difesa dei valori iscritti nell’articolo 2 del Trattato».

Un nuovo pungolo per Von der Leyen, sempre più sotto pressione perché la procedura ancora non si vede, anche se Budapest nella sua lettera di risposta alle richieste di chiarimento di Bruxelles ha difeso la legge e chiarito che non sarà ritirata. La pressione del Parlamento Europeo è fortissima anche sullo stop ai fondi Ue, citato nella risoluzione, soprattutto alla luce del nuovo regolamento in vigore da gennaio che vincola l’esborso al rispetto dello Stato di diritto. Secondo un rapporto preparato da tre esperti per il gruppo dei Verdi, «la mancanza di una gestione trasparente dei fondi Ue, di un sistema di controllo giudiziario efficace e di garanzie di indipendenza della magistratura mostrano che l’Ungheria sta già platealmente violando i principi di base dello Stato di diritto». La Commissione per ora esita, anzi ieri ha smentito che vi sia stato uno stop alla valutazione del piano nazionale di rilancio ungherese (in gioco 7,2 miliardi) e che sia stata annullata la visita della presidente a Budapest la prossima settimana (Von der Leyen sta facendo il giro delle capitali man mano che i Pnrr vengono approvati), visita che «non era mai stata annunciata», ha detto una portavoce. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha spiegato che prosegue la valutazione, anzitutto esaminando «il meccanismo di audit, il trattamento equo dei beneficiari dei fondi, e le sfide delle raccomandazioni Ue sullo Stato di diritto come corruzione, indipendenza della magistratura, aumento della concorrenza». Il verdetto dovrà arrivare entro il 12 luglio.

Ungheria, divieto di esporre i minori a messaggi con sesso e omosessualità

La riforma approvata a inizio giugno dal parlamento dell’Ungheria in realtà nasce per contrastare con più efficacia la pedopornografia e integra alcune norme già in vigore, rischiando tuttavia di equiparare - e questo è il suo limite - orientamenti sessuali omosessuali e condotte e pratiche abiette che configurano veri e propri reati. L’intento della legge è quello di evitare che siano resi disponibili ai minori contenuti non adatti alla loro età o che richiedono una maturità ancora lontana. L’articolo più contestato è il 6/a, che riforma una legge del 1997 sulla "protezione dei bambini", in cui si legge che «è vietato rendere accessibile alle persone che non hanno raggiunto i 18 anni un contenuto pornografico o che rappresenta la sessualità in modo gratuito o che diffonde o ritrae la divergenza dall’identità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità». (r.r.)

Polonia, le "free zones" vietate ai gay

Si definiscono "Lgbt free zones”, ossia "libere dall’ideologia Lgbt”, le municipalità e le regioni della Polonia che si sono autodichiarate ostili a una presunta ideologia di queste categorie e alle iniziative a essa collegate, come le marce o le sfilate dei Pride. Dall’aprile del 2019, più di 100 istituzioni locali (che in totale occupano ormai quasi un terzo del territorio polacco) hanno votato a favore delle cosiddette "carte per i diritti della famiglia”, documenti che promuovono la struttura della famiglia tradizionale. Queste carte di fatto non hanno valore legale, ma solo simbolico, ad esempio stigmatizzando certi orientamenti sul posto di lavoro, togliendo fondi a organizzazioni, proibendo eventi. Già a dicembre del 2019 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione dichiarandole contrarie ai diritti fondamentali. (r.r.)

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