
Certo che si sono arrabbiati “anche con Dio”, racconta mamma Giulia Metta. È che “ti chiedi perché è successo proprio a me, perché proprio mia figlia sta male”, però poi “impari ad accettarlo e a vedere quel può dare, non il resto”. Francesca ha dieci anni, è altissima, il sorriso sempre sul volto e anche mezza diva, non toglie gli occhi dalla telecamera neanche a pagarla. Ha una malattia che prende il nome del gene mutato che la causa (ATP6V1A) e che regala una grave disabilità: come lei sono solo in ventuno al mondo, il più grande quattordicenne.
Quando hanno fatto l’albero di Natale, “si è divertita a tirare tutti i fili e le palline, rideva… È stata una bella emozione”, racconta papà Emanuele Preziosa. Vivono a Cerignola (provincia di Foggia), hanno girovagato per ospedali pediatrici di mezza Italia da quando la piccola aveva sei mesi e mezzo, poi, da qualche anno, è seguita dal Meyer di Firenze.
“Lei, a modo suo, ci dice la poesia di Natale e ci augura buon Natale – continua Giulia -, poi quando ci sono i nonni o i parenti è felicissima” ed è inevitabile, Francesca è una bambina “molto, molto solare” e “si fa capire con gli occhi”. Poi “è bellissimo vedere quanto sia entusiasta semplicemente di fare un giro in macchina o una passeggiata, che magari noi non apprezziamo quando non abbiamo una vera e propria difficoltà”.
La loro vita non è affatto facile e ci sono un bel po’ di rinunce da fare, però Francesca è proprio una bella maestra: “Mi ha insegnato cosa significa essere coraggiosi - spiega Giulia - e soprattutto, quando credevo ci fosse un ostacolo insormontabile, guardavo lei, che magari dopo tanta sofferenza, comunque era in piedi”. Emanuele: “Io non ero quel che sono adesso. E non avrei mai pensato di vedere la disabilità come me l’ha fatta vedere mia figlia”. Di nuovo Giulia: “Credo anche io che non sarei quella che sono se lei non fosse nella mia vita”.
Forse l’insegnamento più grande di Francesca nemmeno è fra questi. “Ci ha insegnato a guardare anche gli altri – spiega la mamma -. A essere sensibili con gli altri, non pensare solamente ‘poverino’ davanti a una persona in difficoltà, ma a muoverci per quella persona. Noi siamo fieri, perché lo facciamo davvero quando ci capita di trovare una persona in difficoltà e probabilmente senza Francesca non l’avremmo mai fatto”.