giovedì 3 novembre 2011
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L'unica certezza nella giornata infinita di Berlusconi è la sua incrollabile volontà di restare a Palazzo Chigi: «Io non mollo, chi mi vuole sfiduciare lo deve fare a viso aperto, in Aula». Governo istituzionale? La risposta è una smorfia: «Si aggiungerebbe alla tempesta mondiale della crisi uno tsunami istituzionale che il Paese non reggerebbe. Non c’è alternativa a questo esecutivo». Il premier parla e guarda negli occhi ciascuno dei big azzurri riuniti per due ore, nel cuore del pomeriggio, nell’ufficio di presidenza Pdl. Vuole spazzare via qualsiasi velleità in chi, sotto sotto, pensa alle larghe intese: «L’unica alternativa è il voto». Sono le parole che oggi il segretario Pdl Angelino Alfano dovrà ripetere, senza esitazioni, al presidente della Repubblica.Nella riunione pidiellina si respira quasi un’area surreale. Lunghi elogi del tesseramento appena concluso con più di un milione di adesioni. Tante rassicurazioni sulla tenuta di esecutivo e maggioranza. Solo il governatore lombardo Roberto Formigoni - stando ai racconti - alza la mano e chiede di tornare a temi di più stringenti attualità. In una riunione che fila via come se fuori non ci fosse l’inferno, il dibattito si infuoca solo sul gradimento che avrebbe un decreto presso il Colle.Insomma l’ultima parola viene delegata al Consiglio dei ministri, che inizia quasi alle 21, dopo dodici ore di vertici e contro-vertici. Ma quali sono le misure? «Quelle dell’Ue...», dicono tutti entrando, come se nel corposo dossier concordato con l’Europa non ci fossero decine di provvedimenti di natura e impatto diverso. E come le si realizza? «Con un decreto...», si assicurava in mattinata. «No - la correzione serale -, il decreto non piace a Napolitano. Facciamo i licenziamenti per decreto?», sospira un ministro. E allora si torna all’ipotesi originaria: «Facciamo un maxiemendamento al ddl stabilità». Sui contenuti è giallo, la Lega protesta. Mentre l’ipotesi di un decreto e di un ddl tornerà più avanti e su temi meno spinosi.Pesa l’incertezza sulla partita che sta giocando Tremonti. Il premier non può non vedere che il Tesoro si reca da solo al Colle facendo, durante il Cdm, da sponda alle perplessità di Napolitano. E non può non vedere che nella giornata il ministro si è preoccupato soprattutto di comunicare l’efficacia della sua linea rigorista.Ma il vero tema è un altro. Mentre Berlusconi presiedeva un vertice dopo l’altro, il dissidente Roberto Antonione convocava una decina di deputati che valutano seriamente la possibilità di staccarsi dalla maggioranza. In serata si materializza la lettera anonima fatta circolare la settimana scorsa. Stavolta ci sono anche le prime firme, nonostante il gruppetto non sia ancora coeso sulla strategia da adottare. C’è chi pretende subito il passo indietro del premier, chi vorrebbe attendere il pacchetto anticrisi e la fine del G20. Di certo il cuore dei malpancisti è rappresentato da ex forzisti delusi dall’«accondiscendenza» di Berlusconi e Verdini verso i responsabili. Arriva anche la fucilata dell’avvocato di fiducia Maurizio Paniz. Berlusconi è impassibile: «Con Antonione recuperiamo, i numeri li abbiamo, non ho dubbi». Il premier lo dice ad Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pippo Scalia convocati a pranzo a Palazzo Grazioli. Con loro il Cavaliere tesse anche l’elogio per la «correttezza» e l’«affidabilità» di Napolitano.Ma sui numeri è davvero allarme rosso, al punto da diventare, in serata, l’unica vera preoccupazione. Quasi al punto da oscurare un pesante commento del premier su Bini Smaghi, componente del board Bce che non si dimette prolungando la querelle con la Francia: «Quel signore, se continua così, rischia poi di non trovare più un posto da noi qui in Italia...».
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