giovedì 9 dicembre 2021
Ricercatori inglesi e giapponesi svelano per la prima volta la struttura della proteina associata alla malattia, mentre un altro studio - col contributo italiano - identifica 7 nuovi geni coinvolti
Scoperti l'identikit della proteina e 7 nuovi geni: la Sla ha meno segreti
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Due scoperte, diffuse a poche ore di distanza l’una dall’altra, possono determinare una svolta nella comprensione, nella diagnosi e nella cura della sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e di altre malattie neurodegenerative come la demenza frontotemporale (la forma più comune di demenza ad esordio precoce dopo l’Alzheimer). Nature ha appena pubblicato uno studio che svela, per la prima volta, la struttura della proteina associata alla Sla (si chiama “Tdp-43”). La scoperta si deve agli scienziati del Laboratory of molecular biology del Medical Research Council (Mrc) di Cambridge (Regno Unito), guidati da Benjamin Ryskeldi-Falcon, e di due istituti giapponesi: il Tokyo Metropolitan Institute of Medical Science e l’Aichi Medical University.

La Sla, spiegano gli autori, è la forma più comune di malattia del motoneurone ad esordio in età adulta, ed è caratterizzata dal deterioramento dei neuroni responsabili del controllo dei movimenti muscolari volontari. Non esistono cure o trattamenti efficaci per invertire la progressione della malattia che, in Italia, interessa circa 6.000 persone. È noto però che l'aggregazione anormale della proteina Tdp-43 rappresenta la “spia” della Sla e della demenza frontotemporale. Il team di ricercatori è riuscito a ricostruire la struttura molecolare degli aggregati Tdp-43, scoprendo «caratteristiche uniche che potrebbero spiegare perché gli attuali composti diagnostici basati su proteine analoghe associate ad altre malattie neurodegenerative non sembrano manifestarsi nella Sla». Ora che «conosciamo la struttura della proteina - afferma Ryskeldi-Falcon -, potremmo sviluppare nuove strategie di diagnosi». Questi risultati, commenta Jo Latimer, capo dipartimento Neuroscienze e salute mentale dell'Mrc, «rappresentano un importante contributo alla comprensione della Sla e delle malattie neurodegenerative collegate. La causa della Sla non è chiara ma la comprensione di Tdp-43 ridefinirà il modo in cui la scienza pensa alla progressione della malattia e potenzialmente potrebbe portare allo sviluppo di nuovi approcci diagnostici e terapici».

Un’altra ricerca supportata da istituzioni di tutto il mondo, e guidata dall'Università di Utrecht (Olanda), con il contributo di scienziati italiani, ha invece portato a identificare 7 varianti geniche associate alla Sla, finora ignote. Lo studio, pubblicato su Nature Genetics, ha preso in esame i Dna di 29.612 pazienti affetti da Sla, e di 122.656 persone sane, identificando 15 varianti della malattia ma correlate anche a processi neurodegenerativi di altre patologie. «Otto erano già state identificati in precedenza, 7 sono nuove e contribuiscono a delineare meglio i meccanismi di neurodegenerazione specifici della malattia», evidenzia Vincenzo Silani, professore ordinario di neurologia dell’Università Statale di Milano, primario all'Auxologico San Luca di Milano, che ha supportato la ricerca assieme allo stesso ateneo e al “Centro Dino Ferrari”. «Lo studio - aggiunge Silani - suggerisce che il processo neurodegenerativo nella Sla è originariamente a carico delle cellule neuronali e non di quelle microgliali o astrocitarie». Inoltre, «molto interessante risulta la condivisione dei geni patogenetici riportati con altre malattie neurodegenerative», tra le quali l’Alzheimer e il Parkinson. Il neurologo ha anche anticipato il risultato di un lavoro di prossima pubblicazione da cui si evince che «elevati livelli di colesterolo sembrano assumere un ruolo causale per la Sla».

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