sabato 25 aprile 2009
Don Luisito Bianchi: giustizia e gratuità, questo va celebrato oggi. Nel racconto di chi visse la lotta contro i nazi-fascisti una rilettura delle manifestazioni attuali. «Dopo il 25 aprile c’è stata soltanto politica. Allora festeggiarono anche coloro che non avevano partecipato, adesso servirebbe un diverso stile di accoglienza dell’altro». Parla il sacerdote che fu spettatore delle vicende della lotta partigiana.
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Se lo ricorda bene Stalino, che era salito in montagna con i partigiani per poter guarda­re ancora negli occhi suo figlio: « Alla fine della guerra è tornato a fare lo stradino » . Il Rondine, inve­ce, nei boschi di Bobbio ci è rima­sto: « Ha difeso il Piero, che era il dottore e suo amico: la pallottola ha colpito lui » . Rileggiamo con don Luisito Bianchi La messa del­l’uomo disarmato, il racconto de­gli anni più caldi della lotta parti­giana, narrati da un prete che ha fatto della gratuità il suo stile di vi­ta e che oggi, a 82 anni, vive nel monastero di Viboldone, alle por­te di Milano, immerso nei ricordi. A dire il vero. lui li chiama « me­moria » , perché quelli sbiadisco­no, mentre la memoria si può at­tualizzare, con un pizzico di fede. Don Luisito, prete operaio e par­tigiano nel cuore di fede ne ha tan­ta e infatti continua a credere « in un mondo diverso» , ben sapendo in quale stia vivendo. Anzi, pro­prio per questo, ci dice, lui conti­nua ad aspettarlo. Il sottotitolo del suo libro è «Un romanzo sulla Resistenza » . Am­metterà che è un genere strano per un prete. Non più di tanto, se si considera che fu proprio la Resistenza a for­giarmi, a farmi prendere la deci­sione di fare il prete. La chiamata era già avvenuta, certamente, ma vivevo anche un profondo trava­glio e l’esempio di chi rischiava la propria vita per la libertà degli al­tri mi fece fare il passo verso la gra­tuità. Cosa c’entra la gratuità con un pe­riodo di odi, stragi e vendette? I ragazzi che sceglievano la lotta partigiana erano poco più vecchi di me, mi parlavano di un mondo di giustizia, molti di loro erano persone semplici, che non face­vano questa scelta, mettendo a re­pentaglio la vita e gli affetti, con un obiettivo personale ma perché rispondevano al desiderio di cam­biare la società italiana. Quel che mi colpiva di più era la freschezza di questa testimonianza, la sua gratuità, scevra da ogni odio, da o­gni rancore. Ne ho conosciuti tan­ti che sono partiti perché quella e­ra la scelta giusta e che non sono tornati. Me li porto dentro, come porto con me la memoria del 26 luglio del ’ 43, quando le strade di Vescovato, il mio paese, nel Cre­monese, si riempirono di gente in­credula per la caduta del fascismo e si credeva veramente di essere entrati in una nuova civiltà. Durò poco. L’ 8 settembre fu uno choc. E il 25 aprile? La festa chiassosa dei partigiani dell’ultima ora, quelli che la guer­ra sulle montagne non l’avevano fatta perché non sapevano nean­che sparare. Per mesi, migliaia di persone avevano messo in gioco se stessi per realizzare un ideale di giustizia sociale e di pace che quel giorno si spense. Paradossal­mente, nel giorno della Liberazio­ne fu chiaro che le grandi speran­ze della Resistenza non si erano realizzate. Eppure lei ha continuato a cre­derci, al punto di improntare tut­ta la sua vita sacerdotale a questi ideali, giusto? La Resistenza fu l’avvenimento di cui dovevo fare memoria. Aver co­nosciuto quei ragazzi e le loro spe­ranze non poteva passarmi ad­dosso e infatti iniziai a scrivere, ca­pendo che fare memoria con gli scritti e con la testimonianza si­gnificava attualizzare quel sogno che non si sarebbe compiuto. Ec­co perché ho sempre celebrato la Resistenza e il 25 aprile e continuo a farlo. Cosa significa 'fare memoria" della Resistenza? Gesù Cristo ci dice "fate questo in memoria di me" e in quel mo­mento il corpo e il sangue di Dio irrompono nella vita. In altro mo­do, fare memoria di un fatto sto­rico, per quanto incompiuto, si­gnifica attualizzare il messaggio di chi ha rischiato la vita per realiz­zarlo, non riuscendoci. Cosa dice quel messaggio? La vera Resistenza è quella al po­tere, ad ogni potere. Non è Resi­stenza quella che abbatte un po­tere per instaurarne un altro. In altre parole... In altre parole, la Resistenza fini­sce il 25 aprile, in tutti i sensi. Do­po quella data c’è solo la politica. Quest’anno tutta la politica ita­liana si ritrova a festeggiare la Re­sistenza. Cosa ne pensa?Non so con quali motiva­zioni i diversi leader dei par­titi si accingano a festeggiare il 25 aprile. La Re­sistenza è una scelta di vita, implica una conversione al­la gratuità e de­ve avvenire o­gni giorno, non solo oggi. Il cri­stiano non ha esitazioni a schierarsi dalla parte dei pove­ri e della giusti­zia, contro la violenza, ieri come oggi. Non ha esitazioni a scegliere la gratuità, la Charis, la Grazia evangelica, che gratuita­mente ci è concessa dal Signore. Ne ho visti tanti di cattolici che sceglievano la lotta partigiana con questo spirito. Se i politici che fe­steggiano il 25 aprile si converto­no a un diverso stile di accoglien­za dell’altro e di gratuità nella vi­ta allora hanno adottato vera­mente gli ideali della Resistenza. Altrimenti...
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