venerdì 9 giugno 2023
La ragazza di Kiev e quella di San Pietroburgo vivono e studiano insieme a Rondine-Cittadella della pace. «Amiche nonostante la guerra. La fraternità tra i popoli dipende da noi»
Alexandra, russa, e Valeria, ucraina, amiche e studentesse insieme a Rondine-Cittadella della pace ad Arezzo

Alexandra, russa, e Valeria, ucraina, amiche e studentesse insieme a Rondine-Cittadella della pace ad Arezzo - Gambassi

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È vicina e, al tempo stesso, lontana la guerra in Ucraina dalla Cittadella della pace di Rondine, alle porte di Arezzo. È vicina perché nel borgo medievale che ospita lo studentato internazionale sono arrivati da ottobre quelli che il mondo considera “nemici”. Ed è lontana perché si fa fatica a pensare all’odio, alla sofferenza, ai sentimenti di vendetta che accompagnano ogni conflitto quando assisti all’abbraccio o alle parole sussurrate alle orecchie fra Valeria e Alexandra. La prima, 22 anni, di una cittadina intorno a Kiev; l’altra, 23 anni, di San Pietroburgo. Una ragazza ucraina e una russa che da otto mesi condividono la tavola da pranzo, il tavolo per lo studio nella biblioteca, le passeggiate in bicicletta. «E, quando sono caduta dalla bici, finendo in ospedale, Alexandra è rimasta sempre al mio fianco. Anzi, è stata lei a dare l’allarme», racconta Valeria. «Hai soccorso il nemico, mi potrebbe dire qualcuno. In realtà, ho aiutato un’amica in difficoltà», sorride Alexandra. E subito aggiunge: «Sì, un’amica vera».

Aveva indispettito la scelta del Papa di far portare la Croce a una donna ucraina e a una russa, anche loro amiche. Nessuno scandalo a Rondine, invece, quando le due ragazze indossano abiti simili, anche se con colori diversi, o scherzano senza problemi di lingua. «Siamo due nazioni che non hanno avuto in comune solo il periodo sovietico – dice la giovane di San Pietroburgo –. Molte delle nostre famiglie hanno parenti dall’altra parte. La politica non può minare il domani di noi giovani». Una pausa. «Ho alcuni familiari che sono arruolati nell’esercito e combattono. Pensano che le armi siano la risposta. Invece, io ritengo che si possa creare un mondo diverso». Alexandra frequenta un master in comunicazione all’Università di Firenze; Valeria uno in relazioni internazionali a Siena.

L’eco dei bombardamenti continua a farsi sentire nella camera della studentessa di Kiev. «La guerra è scoppiata quando ero al mio ultimo anno di università e ha fermato tutto. Non vedevo più un futuro per me». Poi ecco Rondine. «All’inizio non è stato facile. Poi i blackout elettrici in Ucraina limitavano le comunicazioni con la mia famiglia». Genitori e conoscenti hanno accettato la scelta di vivere accanto all’aggressore? «Non ho avuto disagi. Alla fine le persone hanno la capacità di discernere. E la pace dipende anche da noi, benché i primi ad avere il compito di fermare il conflitto siano coloro che hanno responsabilità istituzionali».

Parla in italiano, come Alexandra: lo hanno imparato a tempo di record. «Ho capito che per cambiare quanto ci accade intorno dobbiamo partire da noi stessi. Qui, appena arrivata, ho discusso molto sul concetto di nemico. E allora mi sono chiesta: chi è il mio nemico?». Il popolo russo oggi? «Il mio maggior nemico ero io stessa, con i miei preconcetti e le barriere mentali», sostiene. Non Alexandra che le ha fatto scoprire il cicloturismo fra le colline della Toscana. «Sentivo che questa esperienza andava condivisa. E l’ho suggerita a Valeria. Noi giovani siamo capaci di rompere gli schemi». Ma è sincera quando ammette che «qui a Rondine tutto ciò è possibile, mentre nei nostri Paesi sarebbe di gran lunga più complicato». E anche lei torna a parlare di pace. «Come generazioni nuove sappiamo andare oltre l’approccio politico. Tocca a ciascuno di noi dare il proprio contributo per vivere gli uni accanto agli altri e aiutare a ricostruire relazioni che vincano il rancore».

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