giovedì 11 gennaio 2024
Ha 29 anni e ha gestito il viaggio di 105 persone sbarcate in Calabria a fine ottobre. Intascava i soldi pagati per la tratta, sarebbe la regista dei traffici illegali. Con lei c'era Faraz
Il piccolo Faraz, di spalle

Il piccolo Faraz, di spalle

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Faraz, 10 anni, iraniano, sorride accanto ai suoi quattro amichetti afghani. La mamma, 29 anni, è in carcere a Reggio Calabria, con la grave accusa di traffico di migranti. La prima donna scafista arrestata. È stata lei, assieme a due complici, a gestire il viaggio che lo scorso 27 ottobre ha portato 105 migranti su una barca a vela fino al porto di Roccella Jonica, in Calabria, soccorsi molto al largo dalle motovedette della Guardia costiera. Per lei non era la prima volta. Gli investigatori della Polizia hanno, infatti, accertato che la giovane donna aveva fatto già altri due viaggi, cambiando nome e età. Non con ruoli secondari. Non guidava le barche ma si occupava soprattutto della parte economica, intascando i soldi pagati dai migranti per il viaggio dalla Turchia e dando loro ordini a bordo. Ma questa terza volta si era portata il figlio di dieci anni, non è chiaro se voleva chiudere con questa attività illegale o se, molto più probabilmente, lo aveva portato per meglio confondersi tra gli altri migranti, una mamma in fuga da guerre e violenze come altre sulla barca. Un modo per mimetizzare i suoi affari tra i dolori e le sofferenze. Ma il trucco non le è riuscito, grazie alle indagini degli investigatori del Commissariato della Polizia di Siderno. Alcuni migranti hanno raccontato del suo ruolo di comando, con autorità e risolutezza. Ma anche di come durante i cinque giorni del viaggio tra il porto turco di Izmir e le coste calabresi, avesse più volte assunto cocaina. Così la donna è stata arrestata con la gravissima accusa di organizzazione dell’immigrazione illegale. E il bimbo è rimasto solo tra i migranti adulti accolti nella struttura di prima accoglienza nel porto di Roccella Jonica. Ma lì non poteva certo restare.

Così la Croce rossa, che gestisce questa prima accoglienza in una grande tensostruttura, ha chiesto un aiuto alla Caritas della Diocesi di Locri-Gerace, che ha risposto positivamente scegliendo però una modalità innovativa di accoglienza. «Invece di ospitare il bambino in una casa famiglia o altra struttura di accoglienza, abbiamo scelto di affidarlo a una famiglia di immigrati afghani già da anni in Calabria, per farlo sentire più tranquillo, tra persone che parlano la sua lingua, ben inseriti nel territorio e con bambini della sua età», ci spiega la direttrice della Caritas diocesana, Carmen Bagalà, capo scout Agesci.

Così Faraz è finito nella casa di una famiglia iraniana con quattro bimbi tra 5 e 11 anni, anche loro arrivati due anni e mezzo fa su una barca lungo la rotta turca. Una famiglia accolta che ora si apre all’accoglienza. Famiglia ben integrata, che dopo l’accoglienza ora vive in autonomia. Accade a Camini, piccolo comune della Locride, simbolo della buona e efficiente accoglienza. E lo fa in silenzio, senza riflettori, grazie alla collaborazione tra l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Pino Alfarano e la cooperativa Eurocoop Servizi “Jungi Mundu” che ha riempito il paese di luoghi di accoglienza e integrazione, case, formazione e lavoro.

Settecento abitanti, quasi 200 immigrati, tutti perfettamente integrati. L’altra Riace, confinante con Camini, sconosciuta ma con ottimi risultati, senza polemiche né inchieste. Il luogo giusto per accogliere il bambino, evitando traumi e sofferenze. Faraz sta coi suoi amichetti, va con loro a scuola, parla già italiano. Lo accompagnano in carcere a incontrare la mamma che, almeno per ora, non ha ammesso le sue responsabilità né ha contribuito a scoprire l’organizzazione dei trafficanti di uomini. Così per il bimbo si sta lavorando per ottenere l’affido proprio nella famiglia che lo ha accolto. Ma anche per aiutare la famiglia “accogliente”. «Per ora tutte le spese per il bambino sono a carico della Caritas – spiega ancora Carmen – ma speriamo che ora si muovano anche le istituzioni». Perché questa è veramente buona accoglienza per minori, non le scelte solo securitarie del governo.

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