mercoledì 28 febbraio 2024
Poi l'intesa sprint su Cirio, Bardi e Tesei. La presidente del Consiglio: «Sconfitta occasione per mettersi in discussione»
Giorgia Meloni all'incontro con la stampa estera

Giorgia Meloni all'incontro con la stampa estera - Ansa

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Nell’angolo c’è lei, Giorgia Meloni. E se ne può tirare fuori solo facendo da sé. Ci prova, la premier. A uscire dal cono d’ombra della sconfitta sarda. A spostare l’attenzione su temi che lei stessa aveva messo in seconda fila negli ultimi giorni per dedicarsi anima e corpo alla sfida della Sardegna. E come era nell’aria, per rilanciarsi prima deve fare un passo complesso, una specie di “mea culpa” mascherato: «Se, nonostante le liste di centrodestra avessero la maggioranza dei consensi, non siamo riusciti a vincere con il candidato presidente, qualcosa è stato sbagliato. Dispiace ma penso che le sconfitte siano anche un'occasione per mettersi in discussione. Lo prendo come uno sprone a migliorare a fare ancora di più e meglio», dice la premier a Tg2post.

Un gesto che gli alleati attendevano, non tanto per chiudere la ferita, quanto per programmare le prossime sfide. Insomma, Meloni deve togliere dal tavolo quel «do io le carte» ostentato in queste prime settimane del 2024. E pare abbia imboccato questa strada. Tanto è vero che, pochi minuti dopo l’intervista sulla rete pubblica, arriva l’annuncio: la coalizione ha chiuso l’accordo su Basilicata, Umbria e Piemonte, con la candidatura-bis offerta ai tre governatori uscenti Bardi, Tesei e Cirio. Due forzisti e un leghista, con Fdi che invece la sua pedina deve difenderla il 10 marzo in Abruzzo, con Marsilio. Gli uscenti riproposti al voto dei cittadini, diversamente da quanto accaduto con Solinas in Sardegna su ferma volontà della premier. Insomma, mixando le parole e gli atti, Meloni ha preso atto che non si guida un’alleanza mettendola alle corde.

L’altro pezzo di strategia di Meloni è indicare altri temi, come il successo del “Btp valore” da interpretare «come un segnale di fiducia dei cittadini» e come un modo «per essere più padroni del nostro destino», meno esposti alle «pressioni esterne» sul debito pubblico. Col dito la premier indica anche il Pnrr, anche se con meno convinzione: «Stiamo facendo del nostro meglio», dice rivendicando l’ultimo decreto, varato per affrontare un anno che si annuncia decisivo nella “messa a terra”.

Ma certo mandare via la nuvola sarda non è facile. Anche perché il grigiore si è trasferito dritto dritto da Cagliari a Roma, in Parlamento. Autonomia, premierato, terzo mandato sono lì che pendono sui rapporti tra Fdi e Lega. E se, tra le proteste delle opposizioni, il ddl-Calderoli viene calendarizzato ad aprile, ci pensa il ministro meloniano Ciriani a far capire al Carroccio che nulla è già scritto: «Non strozzeremo il dibattito», assicura. Tradotto: nessuna corsia veloce, tanto più che il premierato è al momento semicongelato proprio dalla Lega. Nel Carroccio, poi, non si può non notare che proprio Fdi è decisiva per autorizzare, in commissione Affari costituzionali, una ottantina di audizioni. Molte meno delle 260 che voleva la minoranza, ma molte più delle tre per gruppo proposte dalla Lega.

Ciriani è poi l’uomo che Meloni manda avanti anche a respingere, per il momento, l’assedio del Carroccio sul terzo (in realtà quarto) mandato di Zaia in Veneto. «Il dl-Elezioni non è lo strumento adatto...», dice il ministro ai Rapporti con il Parlamento rinviando la discussione al dopo-Europee.

I rapporti, insomma, sono di sospetto reciproco. L’accordo sulle prossime Regionali stempera il clima. Ma non del tutto. Anche perché a giugno ci sono anche Comunali di grande rilievo con 6 capoluoghi di Regione e 23 di provincia, con Firenze, Bari e Cagliari che sono test di rilievo nazionale. Anche lì si misurerà lo stato di salute della destra-centro.

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