martedì 24 giugno 2014
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​Nati per controllare e temperare il potere assoluto dei sovrani, i Parlamenti hanno sempre cercato di dotare i propri membri di garanzie e salvacondotti tali da impedire che un discorso troppo critico verso Sua Maestà diventasse per il suo autore l’anticamera del patibolo. In Italia, dopo l’esperienza della dittatura fascista, l’immunità estesa a tutti i parlamentari fu considerata una conquista garantista. Era pacifico a quell’epoca che nessun deputato o senatore  potesse essere chiamato a rispondere in tribunale per le dichiarazioni in aula o i voti espressi sui provvedimenti (in questo caso di parla di insindacabilità). Altrettanto pacifico, nell’ottica di quel tempo, che una magistratura politicizzata o troppo compiacente verso il governo non interferisse platealmente sull’attività degli eletti dal popolo. I Padri Costituenti, dopo approfondite discussioni,  furono equilibrati: lo scudo dell’immunità esteso ai parlamentari non  era certo illimitato. Intanto, nei casi di flagranza di reati in cui l’arresto è obbligatorio, per la magistratura era previsto il diritto-dovere di mettere le manette ai polsi all’onorevole, senza convenevoli o richieste di autorizzazione.
L’EQUILIBRIO TROVATO DAI PADRI COSTITUENTIMa anche negli altri casi, l’immunità non era assoluta, ma comunque condizionata all’esame del Parlamento. Serviva dunque il sì della Camera di appartenza, per mettere sotto inchiesta un parlamentare, per arrestarlo, per perquisirlo o per intercettarlo. E anche nel caso di condanna definitiva di un parlamentare, per sottoporlo alla detenzione, occorreva l’approvazione dell’assemblea parlamentare. Ma mentre l’insincabilità è stata prevista come uno scudo permanente, per i casi coperti dall’immunità le garanzie decadono tutte alla cessazione del mandato parlamentare. In parole povere: una volta che il deputato non viene più eletto, diventa alla stregua di un normale cittadino e può essere indagato, arrestato, e così via.
LA FERITA DI TANGENTOPOLI E LA RIFORMA DEL 1993
I tempi, come si sa,  cambiano rapidamente. E l’immunità parlamentare da istituzione di garanzia diventa negli anni odioso privilegio della casta. È così che nel 1993, mentre la prima Repubblica crollava sotto gli scandali di Tangentopoli, il Parlamento, sull’onda delle proteste popolari, introduce due modifiche sostanziali: nessuna necessità da parte della magistratura di chiedere l’autorizzazione preventiva per mettere sotto inchiesta un onorevole; nessuna autorizzazione per tradurre in carcere deputati o senatori condannati con sentenza definitiva. Restava (e resta) l’obbligo di chiedere il consenso di Camera o di Senato per intercettare, perquisire o procedere all’arresto preventivo per deputati o senatori. Anche il principio dell’insindacabilità ha conosciuto dei limiti. La Corte Costituzionale ha stabilito che fare un’intervista diffamatoria o insultare qualcuno per strada non rientra esattamente nelle  prerogative parlamentari.
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