sabato 7 giugno 2025
I leader del campo progressista chiedono lo stop agli accordi con Israele sulle armi e il riconoscimento dello Stato palestinese. Poi l'appello al voto per il referendum in chiusura.
Un momento della manifestazione a Roma

Un momento della manifestazione a Roma - Reuters

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La mozione unitaria del campo progressista su Gaza si incarna nella marea umana che riempie Piazza San Giovanni per chiedere lo «stop al massacro» nella Striscia. Trecentomila persone per gli organizzatori, cinquantamila secondo le previsioni delle autorità. Comunque abbastanza per segnare una differenza netta con il mondo centrista, riunito venerdì a Milano per lo stesso motivo ma con molti distinguo. I dem moderati reduci dall’appuntamento meneghino ci sono, ma non bastano a colmare la distanza con Azione e Italia Viva e le parole di un politico navigato come Bersani fanno capire che almeno su questo la sintesi con i riformisti resta un miraggio: «C’è solo una manifestazione per Gaza: questa».


Il corteo che parte da Piazza Vittorio è solo un anticipo della folla che di lì a poco raggiungerà il palco, ma offre l’istantanea politica più significativa, con Conte, Schlein, Bonelli e Fratoianni che avanzano assieme dietro lo striscione di testa. Backstage animatissimo, ancor prima dell’arrivo dei big. C’è De Luca senior che scherza con i giornalisti e scambia saluti con Bersani e D’Alema (più tardi stringerà la mano anche alla segretaria dem). Proprio dall’ex premier arriva uno dei pochissimi inviti all’unità nonostante le differenze: «Il significato di questa manifestazione va al di là di questo, però il centrosinistra deve essere unito per vincere le elezioni. Se lo fosse stato, avrebbe vinto anche le ultime. Credo che non si voglia ripetere quell’errore. Sarebbe un crimine».

Di polemiche con Calenda e Renzi non sembra avere voglia nessuno. Ma dal palco c’è chi decide che qualche puntualizzazione va fatta. Gad Lerner e Rula Jebreal sono tra gli ospiti che non si tirano indietro e condannano con forza Hamas (la condizione che aveva posto Calenda per partecipare alla manifestazione). Ma la giornalista palestinese è altrettanto dura quando chiede di «dare il giusto nome alle cose» e di «definire quello che sta succedendo a Gaza genocidio», perché «parlare di crisi umanitaria è allontanarsi dalla verità». Qualcuno fischia Lerner, ma è una minoranza e lui stesso, da ebreo, non nasconde la difficoltà di scendere in piazza per Gaza: «Ci danno dei traditori, ma noi avvertiamo l’urgenza che avvertono gli ebrei pacifisti israeliani di difendere Israele da se stessa. Chi vi parla è un sionista, ma essere sionista non equivale a fascista e assassino. La guerra di Netanyahu ha suscitato l’atavico odio contro gli ebrei» ma c’è anche chi «abusa della memoria della Shoah per darsi una giustificazione morale».

Non sono le uniche voci che si alternano sul palco. C’è Abubaker Abed, reporter palestinese, la storica Anna Foa, Luisa Morgantini di Assopace, Emiliano Manfredonia delle Acli, Walter Massa dell’Arci, Silvia Stilli della Ong Aoi. Poi ancora Atef Abu Saif, ex-ministro palestinese di Al-Fatah, e Feroze Sidhwa, medico chirurgo che ha operato a Gaza e testimoniato all’Onu. Infine Iddo Elam, giovane israeliano che ha rifiutato il servizio militare e che ha preso parte alle proteste contro il governo Netanyahu.

Poi è la volta dei big , in rigoroso ordine alfabetico. L’intervento di Bonelli è il più accorato, lui stesso si commuove ricordando le atrocità di cui è stato testimone in Cisgiordania, replica indignato anche alle accuse di antisemitismo mosse da una parte dei terzopolisti e poi chiama in causa l’esecutivo: «Presidente Meloni, non vogliamo un governo codardo che con la mano sinistra dice di aiutare i bambini ma con la destra arma Israele. È inaccettabile, questa è complicità e noi abbiamo chiesto di sanzionare Israele come sono stati sanzionati altri Paesi che hanno violato il diritto internazionale». Poi la stoccata contro il leader della Lega: «Devo dire una cosa a Matteo Salvini, che è andato a Tel Aviv, orgoglioso di stringere la mano al criminale Netanyahu che ha le mani sporche di sangue. Sei la vergogna d’Italia». Anche Conte denuncia l’inerzia di Palazzo Chigi che si «mette le mani davanti agli occhi» e si «copre le orecchie per non sentire. Perché questo può accadere? Perché i palestinesi sono poveri, non sono potenti, non hanno nulla da offrire in cambio - incalza il leader pentastellato - ed è per questo che il nostro governo in compagnia di tanti altri governi ha lasciato che tutto questo accadesse, oltre 60mila vite distrutte, oltre 16mila bambini, distrutti ospedali, abitazioni scuole, e le occupazioni nella Striscia di Gaza da parte dei coloni israeliani, come lo chiamiamo? Genocidio». Fratoianni si fa interprete di uno dei punti fondamentali della mozione unitaria, ricordando al governo «che è arrivato il momento di fare quello che hanno già fatto altri Paesi: riconoscere lo Stato che non c’è, riconoscere lo Stato di Palestina». Lo stesso fa Schlein che in chiusura dell’evento chiede un «segnale forte» alla premier: «Non rinnovi il memorandum militare con Israele. Meloni ascolti questa piazza e riconosca lo stato di Palestina, i palestinesi non sono soli, le loro vite contano e non contano meno di altri. Palestina libera! Due popoli e due Stati che convivono pacificamente». Lei però non usa la parola «genocidio», anche se quella scelta è altrettanto forte, «pulizia etnica».

Chiusura volutamente in polemica con chi ha accusato i quattro leader di usare la piazza pro Gaza per il referendum: «Ancora una cosa - dicono dal palco - andate tutti a votare». Più che un appello, una provocazione nel giorno del silenzio elettorale, ma tanto basta a suscitare le reazioni indignate di tutti i partiti di maggioranza che polemizzano anche con la scelta di Bersani di sfilare con un cappello per il Sì ai quesiti.

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