mercoledì 26 marzo 2014
​Draghi sprona i governi. E Visco: non servono manovre
INTERVISTA L'economista Rossi: folle uscire dall'euro Giovanni Grasso
Asta Ctz, collocati tutti i 2,5 miliardi con tassi al minimo storico
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La ripresa è minima ma c’è, gli spread si sono fatti sottili sottili, le nuvole nere che ancora sorvolano l’eco­nomia europea non pro­mettono in ogni caso tempeste terribili. Il ri­schio è che i governi si accontentino di avere raggiunto questa situa­zione di calma e si mettano seduti in atte­sa di cavalcare le eventuali riprese altrui. Invece per gli esecutivi della zona euro è proprio il momento di lavorare per trova­re la crescita. È questo il senso delle 'le­zioni' severe e anche un po’ preoccupate sulla crisi della zona euro tenute ieri dai due ultimi governatori della Banca d’Ita­lia. Mario Draghi, l’ex governatore passato al­la guida della Banca centrale europea, è intervenuto a Science Po, l’università pa­rigina che è la culla della classe dirigente francese. Ha ripercorso la storia della cri­si dei debiti europei e ha individuato nel­l’avvio del progetto dell’unione bancaria (era l’estate del 2012) il momento in cui la zona euro «si è rimessa sulla traiettoria del­la crescita». Unire il sistema bancario, ha spiegato, significa riconoscere che la mo­neta è davvero unica: un euro depositato in una banca greca non vale meno di un euro affidato a una banca tedesca, en­trambi hanno le stesse garanzie e sono in definitiva interscambia­bili.  L’Unione bancaria è realtà ora che il mecca­nismo unico per gestire le crisi degli istituti è sta­to approvato in via defi­nitiva. Sarà ancora più efficace quando sarà completata la revisione dei bilanci delle banche avviata nelle scorse set­timane («il risultato mi­gliore – ha ricordato Draghi – è se le banche sono previdenti e fanno le correzioni ne­cessarie prima della fine del processo»). La Bce sta guidando e accompagnando questo processo con strumenti diversi (i prestiti Ltro, la garanzia Omt, la strategia della forward guidance) ed è pronta ad «a­dottare ulteriori misure di politica mone­taria » se le condizioni dovessero renderlo necessario. Però «liberare la crescita po­tenziale non è compito della politica mo­netaria ». Quello è il punto: spingere la ripresa è com­pito dei governi. E qui Draghi è tornato a chiedere alla politica di fare il suo lavoro. La competitività e la crescita, ha spiegato, vengono dagli investimenti, non dalle sva­lutazioni. «Le leggi di tutte le nazioni del­l’euro agevolano gli investimenti? I siste­mi fiscali li aiutano? I sistemi educativi li incentivano?» ha chiesto schiettamente il banchiere centrale, invitando i governi a lavorare su burocrazia, tassazione e scuo­la. In definitiva, ha spiegato il banchiere centrale, quello che un governo e le parti sociali di uno Stato del­l’euro devono chiedersi è se «le nostre economie sono adatte a muoversi in un’economia della co­noscenza globalizzata». Se non lo sono, è il mes­saggio, bisogna interve­nire. Ignazio Visco la sua lec­tio magistralis l’ha tenu­ta a Pavia, allo storico Collegio Borromeo. Il governatore della Banca d’Italia ha mostrato di pensarla proprio come il suo predecessore che ha trasloca­to a Francoforte. Intanto, adesso che «e­mergono rinnovati segnali di interesse per i mercati italiani» bisogna stare attenti a non abusare del clima positivo, dato che «basta poco a incrinare la fiducia degli in­vestitori ». Ma soprattutto è inutile conti­nuare a insistere per ottenere un allenta­mento dei parametri europei sui conti pubblici. «Per il nostro paese il vero vincolo di bilancio è dato dalla necessità di garan­tire la sostenibilità del debito pubblico e di mantenere il pieno accesso al mercato fi­nanziario » ha avvertito il governatore. La risposta, quindi, non può essere che la so­lita: bisogna fare le riforme, anche se han­no «costi dei breve periodo». Come Draghi, Visco chiede di pensare più alla crescita che ai limiti di bilancio. Nota che con una crescita annua del 3% (che fu 'normale' in tempi ormai remoti per l’Italia) baste­rebbe tenere i conti in pareggio struttura­le per rispettare i criteri del 'fiscal com­pact'. 

«A differenza di quanto sostenuto da al­cuni commentatori – ha sottolineato il governa­tore – non sarebbero ne­cessarie manovre cor­rettive da 40-50 miliardi all’anno». La strategia più sbaglia­ta è allora tentare di in­debitarsi ancora soltan­to per fare quadrare con­ti che non tornano: «Non si può far crescere il de­bito indefinitamente, lo si può fare se si in­veste e se c’è un ritorno degli investimen­ti. Per molti anni noi abbiamo fatto cre­scere il debito in assenza di investimenti». Questo passaggio, il più duro della lezio­ne di Visco, curiosamente non compariva nella bozza della sua lezione pavese.

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