martedì 23 dicembre 2014
​Tempi duri per i malati oncologici della Campania, costretti a curarsi a casa. Intanto la Regione spende 23 milioni per rilanciare l'immagine del territorio.
Vibo Valentia, un paese costruito sulla discarica
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Mattia sta morendo. Sono stato a fargli visita domenica. Il dolore lo tormenta. Si lamenta, prega, si contorce. Nemmeno la morfina riesce più a sedarlo. Nel palazzo accanto si va spegnendo il suo amico Giulio. Stessa malattia, stessa sofferenza, stesso senso di impotenza. I loro cari li accompagnano. Come cirenei li aiutano a portare una croce sempre più pesante.  Il cancro nella “Terra dei fuochi” continua a fare una strage silenziosa che meriterebbe ben altra attenzione da parte della società civile e della politica. Gli ospedali hanno dimesso Mattia e Giulio. I posti letti a disposizione degli ammalati di cancro in Campania non bastano più. Dopo la infausta diagnosi e qualche giorno di ricovero, si torna a casa. I soldi per curare a domicilio un ammalato oncologico, però, le famiglie non li possiedono. La crisi degli ultimi anni ha fatto danni enormi alle fasce più deboli della società. Le famiglie sono allo stremo. Così si muore in casa senza poter accedere adeguatamente nemmeno alle cure palliative. Un’anziana signora, pochi giorni fa, tra le lacrime mi confidava: «Padre, ho già venduto i pochi oggetti d’oro che possedevo. Non ho più niente. Sono venuta a chiederle la carità per il biglietto dell’autobus. Domani dovrò recarmi in ospedale per la chemio…». Non si ferma, intanto, la ciclica, martellante campagna per tentare di ridimensionare lo scempio che da trent’anni si perpetua nella “terra dei fuochi”. Ce lo aspettavamo. Eravamo pronti e preparati da tempo. Nonostante ciò fa male assistere ai furbeschi tentativi di minimizzare, se non di negare completamente, le conseguenze del devastante inquinamento ambientale sulla salute delle persone. Le sentenze, poi, degli ultimi processi celebrati in Italia, che hanno rimandato a casa i colpevoli di disastri epocali, ci hanno ferito come una pugnalata al cuore. «Possibile?», ci domandiamo sbigottiti. «Possibile?», ci chiede la gente smarrita, arrabbiata, incredula.  La faccenda della prescrizione è risaputa. Allucinante e noiosa. Pericolosa e ambigua. Una serpe che si morde la coda. Pare di assistere a una partita di basket giocata con una palla di ghiaccio che, passando da un giocatore all’altro, finisce con lo sciogliersi e non lasciare traccia. Tanti responsabili, tanti colpevoli, nessuno condannato. Incredibile, eppure vero. Sotto gli occhi lacrimanti delle vittime, passano, ironici e beffardi, i carnefici. Tutto è legale e disumano. Ma di questa strana e ottusa legalità la gente normale e civile non sa che farsene. Mentre tanti scontano le pene anche per reati minori, certi autentici e spietati nemici dell’umanità e delle future generazioni la fanno franca. Se non ci fosse una giustizia divina in cui credere, occorrerebbe inventarla. Cosa manca alla nostra Italia? Chi e perché non vuole che passi la legge, ferma da mesi al Senato, sull’inasprimento delle pene per i reati ambientali? Questa legge andrebbe votata immediatamente e all’unanimità. Ma c’è un’altra notizia che ha l’amaro sapore dell’assurdo. La regione Campania ha destinato ben 23 milioni - di cui 5 alle società sportive - per rilanciare l’immagine della Campania e dei suoi prodotti che sarebbero tutti ottimi da consumare. La parte del leone la fa il Napoli Calcio portandosi a casa ben 3 milioni e mezzo. Una barca di soldi sprecati in mille rivoli senza che il vero problema venga minimamente sfiorato. Tanti prodotti dei campi sono buonissimi, ma non tutti. E bisognerebbe avere il coraggio di dirlo. Le nostre campagne, infatti, continuano a essere, oggi come ieri, il ricettacolo di tonnellate di scarti industriali e di amianto sbriciolato e pericolosissimo. I roghi tossici continuano a bruciare indisturbati. E, nota più dolente, la nostra gente continua ad ammalarsi e a morire, tra l’indifferenza di alcuni e il cinismo di altri.  
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