sabato 28 giugno 2014
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E ora? Cosa cambia per noi? È questa la domanda che tutti si sono posti, dopo uno dei Consigli europei più attesi degli ultimi tempi. Sulla carta, a leggere le conclusioni, i cambiamenti sono in fondo piccoli. Quelli giusti per consentire a tutti i governanti di cantare vittoria, una volta tornati nelle loro capitali. Su un Patto di Stabilità più elastico si registra il concetto di «fare il migliore uso della flessibilità», ma di quella già prevista dalle regole esistenti del Trattato. Per Renzi, questa sarebbe una novità. Ma ha buon gioco anche la cancelliera Merkel a raccontare ai tedeschi che nulla di sostanziale è cambiato e a ricordare che «sarà la Commissione a decidere» come interpretare quel «miglior uso» messo nero su bianco. Nel testo si precisa poi in più  punti di quale flessibilità l’Europa parlerà da oggi in poi. Alle riforme strutturali sarà data «particolare attenzione», anche «attraverso una valutazione appropriata» del loro impatto, cioè di quanto costano alle finanze di uno Stato. Si punterà poi a "compensare" la disciplina di bilancio con «la necessità di sostenere la crescita»; e si sottolinea che si dovrà proseguire un «consolidamento amico della crescita e differenziato» fra i singoli Stati, tenendo conto dei livelli ancora elevati di disoccupazione e debito e anche degli andamenti bassi del Pil.Basta questo ad alimentare le speranze di chi, tra cofinanziamento dei fondi Ue e debiti della P.A., sogna di vedere sbloccata una massa pari almeno a 40 miliardi di euro per l’Italia? In modo da "dirottare" le risorse verso il rilancio dell’economia e la nascita di nuovi posti di lavoro, come vorrebbe il governo (senza per questo dover temere una procedura europea per debito eccessivo?). Finanziare la ripresa in deficit è tornato possibile, spera ora qualcuno. Dimenticando però che non è l’Italia a poterlo fare. Non a caso proprio la Merkel ha ricordato che «il problema dell’Italia è il debito pubblico, non il deficit», dato che «se anche la Commissione ha detto che è tornato troppo vicina al 3%, questo non è un problema». Il punto è che, alla fine, a pesare sulle decisioni sarà molto il fattore politico: la stessa Merkel ha detto che «ci sarà un’interpretazione Paese per Paese», che è poi lo stesso beneficio già goduto da Germania e Francia nel 2003. E su questo piano l’Italia – e Renzi – hanno una carta fondamentale da giocare: quegli 11,2 milioni di voti che alle Europee hanno fatto del Pd il partito più votato in tutta Europa. Se dei margini si apriranno lo dovremo alla credibilità delle nostre riforme, ma anche alla forza di quel voto.
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