giovedì 20 luglio 2023
I parenti delle sei vittime e il sopravvissuto della strage dell’ottobre 2016, portano Roma e l’azienda produttrice di armi Rwm (della tedesca Rheinmetall) davanti ai giudici per i diritti umani
Ong accusa: in Yemen civili uccisi da bombe prodotte in Italia. Un frammento di un ordigno prodotto nel nostro Paese, prova schiacciante

Ong accusa: in Yemen civili uccisi da bombe prodotte in Italia. Un frammento di un ordigno prodotto nel nostro Paese, prova schiacciante - Ansa/Mwatana

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L’8 ottobre 2016 una colazione militare a guida saudita compie un attacco aereo sul villaggio di Deir al-Hajari, nello Yemen, uccidendo 6 membri della famiglia Husni e ferendo una settima persona. I resti delle bombe rinvenuti sul luogo confermano che gli ordigni sono stati prodotti dall’azienda Rwm Italia, una filiale della tedesca “Rheinmetall Ag”. Il sopravvissuto alla strage e i parenti delle vittime, ritenendo violati i diritti umani e additando come illegale l’attacco aereo arabo, hanno denunciato l’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, dopo che il tribunale di Roma ha archiviato l’inchiesta sulla vicenda. I ricorrenti, sostenuti dalle organizzazioni Mwatana for Human Rights, Rete pace e disarmo e Centro europeo per i diritti costituzionali e umani, chiedono alla Corte di garantire che gli Stati europei riconoscano l’accesso alla giustizia per le vittime di crimini di guerra commessi con armi prodotte in Europa, lamentando, tra l’altro, che la vendita in questione, sia avvenuta in violazione del Trattato sul commercio di armi.

«Ricordo la domanda del fratello di Husni, una delle vittime. “Perché le nostre vite valgono così poco?”, mi ha chiesto. Le sue parole mi sono rimaste conficcate dentro». Sumaia al-Ghuizi lavora nel movimento per i diritti umani Mwatana, partner yemenita dell’European center for constitutional and human rights e, da tempo, organizzazione che collabora con l’italiana Rete pace e disarmo.

All’alba dell’8 ottobre 2016 una bomba, esplosa dalla coalizione a guida saudita, ha distrutto la casa in cui dormiva una famiglia. Sei persone, inclusa una donna incinta, sono morte. Sumaia ha seguito fin da subito la vicenda, dai contorni sconvolgenti. Perché non vi era alcun obiettivo militare nelle vicinanze della casa distrutto.

E perché uno degli ordigni trovati mostrava i codici identificativi di Rwm Italia, la fabbrica di armi situata a Domusnovas, in Sardegna, e appartenente al gruppo tedesco Rheinmetall.

La bomba che ha sterminato la famiglia di Husni è, dunque, partita dal nostro Paese, la cui Costituzione ripudia con forza la guerra. Lo Yemen è, al contempo, teatro di un feroce scontro civile e campo di battaglia dello scontro per procura tra Teheran e Riad.

Le Nazioni Unite l’hanno definita una delle peggiori catastrofi umanitarie del nostro tempo. Sette anni dopo il bombardamento di Deir al-Hajari, ancora nessuno – né produttore né funzionari incaricati di vigilare sull’export di armamenti – si è assunto alcuna responsabilità per la tragedia. E i civili sono rimasti senza giustizia.

I superstiti, però, non si arrendono. E, con l’aiuto di Mwatana, di Rete italiana pace e disarmo e dell’European center for constitutional and human rights hanno deciso di portare il caso e, dunque, l’Italia, di fronte alla Corte Europea per i diritti umani.

Perché questa decisione?
Per le troppe vittime innocenti, di cui la famiglia di Husni è solo un esempio di migliaia e migliaia che hanno vissuto lo stesso dramma. La guerra in Yemen prende di mira la popolazione in modo indiscriminato e questo è un crimine. Chiunque si renda complice – persona, azienda, Paese – deve essere chiamato a risponderne. Un essere umano è un essere umano, non importa dove viva, quale sia la sua etnia, la sua professione, la sua fede, il suo genere. La vita è sacra, sempre. Non ci possono essere doppi o tripli standard. Dato che l’Italia non ha voluto fare giustizia, ci siamo rivolti alla Corte Europea.

Lei ha lavorato con i superstitti di Deij al-Hajari. Che cosa le hanno detto di quella notte?
Ho incontrato delle persone che erano andate a dormire credendosi al sicuro, accanto ai propri cari. Invece, poco dopo, si son trovate in mezzo alla strada, sole, senza più nulla. Non avevano perso solo la casa. Bensì la possibilità di sentirsi al riparo. Avevano scoperto che, in qualunque istante, la morte violenta poteva colpirli e strappargli quanti amavano. E questo per il solo fatto di essere yemeniti. Quella era la loro colpa.

Che cosa vorrebbe dire ai vertici di Rwm?
Che non ci arrenderemo. Non possiamo permetterci di farlo. Perché i civili dello Yemen meritano di vivere.

Siete ottimisti sull’esito del ricorso?
Sì. Lo abbiamo preparato con attenzione, abbiamo presentato tutti i documenti richiesti anche se non è stato facile. Il processo è stato lungo e complicato poiché gli atti originali dovevano arrivare dallo Yemen. Speriamo che il tribunale tenga conto dello sforzo.

Che importanza può avere questa causa?
Innanzitutto essa ricorda al mondo che lo Yemen esiste e che il conflitto continua a provocare sofferenze orribili alla popolazione. Sono i civili a pagare il prezzo più alto, come questa vicenda dimostra, nell’indifferenza della comunità internazionale. Se vinceremo potremo dire che non ci sono esseri umani di serie a ed esseri umani di serie b. Le vite dei civili yemeniti importano.



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