La mamma dell’assassino (e lo sforzo sovrumano del perdono)
domenica 6 agosto 2023

Una telefonata da un numero sconosciuto. Chi mi cerca è una donna distrutta dal dolore. Uno dei suoi figli è in un carcere. Anni fa si macchiò di un orribile delitto. Ha bisogno di parlare, di sfogarsi, di piangere, di trovare un pizzico di conforto. La ringrazio. Ciò che mi ha donato non è paragonabile a ciò che da me ha potuto ricevere.

Un mare di lacrime. Lacerata tra la sete di verità, di giustizia e il suo amore di mamma. Nemmeno per un attimo tenta di giustificare il figlio. Per i genitori e i fratelli della vittima ha solo parole di comprensione, di compassione, di affetto, di pietà.

«Hanno ragione, hanno solo ragione. Io, Giuseppe, in carcere, posso ancora vederlo, loro mai più potranno riabbracciare il figlio. Hanno ragione a pretendere per il condannato pene più severe. Ho chiesto tante volte di poterli incontrare, per gettarmi ai loro piedi, invocare il loro perdono e piangere insieme. Non se la sentono, hanno ragione. Hanno solo e sempre ragione. Io però sto morendo. Sono mamma anch’io…».

Una storia triste oltre ogni dire. Gli anni di carcere per chi ha tolto la vita a un essere umano sono sempre pochi; la famiglia della vittima mai potrà essere adeguatamente risarcita. Indietro, purtroppo, non si torna. Puoi solo scontare la pena, pentirti, chiedere perdono, roderti dentro, tentare di rimediare in qualche modo, altro non puoi fare.

“Non uccidere” è il comandamento antico. Non uccidere, ma ama, dona, servi è il comandamento nuovo. Per la famiglia della vittima, giustamente, scatta una solidarietà spontanea; poche volte ci soffermiamo a pensare che anche l’assassino ha una mamma, un papà, dei fratelli, dei figli. Persone innocenti, coinvolte, senza volerlo e senza responsabilità, nella stessa tragedia.

Anna – nome di fantasia –, la signora che mi ha telefonato, è sull’orlo della disperazione. Una donna di fede, ancora giovane. Prega. Si sente in colpa perfino per la segreta speranza – legittima, umana, materna – di vedere accorciati gli anni di detenzione del figlio. La avverte quasi come un peccato. « Non è giusto, lo so… ma io sono sua mamma… che deve fare una mamma?».

Già, che deve fare la mamma dell’assassino? « Devi fare la mamma. E continuare ad amarlo, accompagnarlo, sostenerlo. Devi continuare a pregare per lui, per la sua conversione. Devi fare tutto ciò che la giustizia umana e il tuo cuore ti consentono di fare» suggerisco.

Non sempre ce ne rendiamo conto, eppure quante persone coinvolgiamo, nel bene e nel male, nelle nostre quotidiane azioni. Quanta prudenza, quanto discernimento, quindi, dovremmo esercitare prima di proferire una parola, prendere una decisone, lasciarci andare a un atto di impazienza, o, peggio, di violenza fisica, psicologica, verbale.

La telefonata volge a termine. Una fraterna amicizia è nata. Mi accorgo di non aver riflettuto molto, prima di oggi, sul fatto che dietro un assassino, tenuto giustamente in prigione, ci sono tante altre persone, che vivono alla sua ombra, condannate a soffrire innocentemente. Familiari che ripudiano e si vergognano dell’azione obbrobriosa del loro caro, ma continuano ad amarlo.

L’amore di Anna per il suo Giuseppe mi ricorda l’amore smisurato di Dio per ognuno di noi. Il Signore che odia il peccato, non ci rinnega, non ci disprezza, non ci allontana ma continua a tenderci la mano. I genitori e figli degli assassini: un briciolo di umana pietà anche per loro. Sperando e pregando che le famiglie delle vittime possano, facendo uno sforzo sovrumano, concedere il perdono a chi lo implora.

Indietro, purtroppo, non si torna. Occorre guardare avanti. E davanti, oltre alla giustizia che deve fare il suo corso, potrebbe essere imboccata la liberante strada della riconciliazione e del perdono. Perdono che, dato e ricevuto, darebbe una forza immensa a tutti per continuare a vivere in compagnia di un dolore che non passa. Come sarebbe bello se queste due mamme dilaniate e stanche potessero incontrarsi. Il loro abbraccio sincero contribuirebbe a sciogliere il ghiaccio che “da quel giorno” tiene congelati i loro cuori.


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