venerdì 17 marzo 2023
La politica del governo contro gli stranieri li spinge a imbarcarsi verso l'Italia. Si viaggia su barche improvvisate. Tanti i morti di cui non si sa nulla
Un giovane tunisino sulla spiaggia di Zarzis

Un giovane tunisino sulla spiaggia di Zarzis - Ansa

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Persino migranti subsahariani che una volta erano accolti stanno abbandonando la Tunisia mentre l'Italia prova a salvarla. Perché il tracollo del Paese maghrebino vicinissimo alle nostre coste va assolutamente scongiurato. Anzitutto perché in questo momento ha superato la Libia per numero di partenze dei migranti. Secondo, perché per Roma il Paese nordafricano è diventato economicamente e politicamente strategico.

Tunisi – dopo le manifestazioni delle scorse settimane organizzate dai sindacati e dai partiti di opposizione contro gli arresti ordinati dal presidente autocrate Saïed di giornalisti, sindacalisti e oppositori – resta una città quasi europea. Relativamente tranquilla, con i turisti nella Medina, il solito traffico caotico e alle prese con i preparativi per il Ramadan che inizia il 22 marzo.

La tensione cova invece sotto la cenere nei quartieri periferici della capitale e dei principali centri urbani, dove non si arriva a fine mese né si trovano generi alimentari di base nei supermercati come caffè, farina e latte. I migranti subsahariani vivono nascosti dopo pogrom e aggressioni degli ultimi giorni di febbraio. E fuggono. Come riporta l’agenzia Nova, che ha avuto accesso ai dati del Viminale, sono almeno 12mila le persone partite dalle coste tunisine dal primo gennaio al 13 marzo, più di 170 sbarchi al giorno, con un aumento del 788% rispetto ai 1.360 arrivi dello stesso periodo del 2022. La Libia è stata superata. E da queste parti i mercenari russi della Wagner non c'entrano, non si sono mai visti.

Stando alla relazione dei Servizi italiani sul 2022, per ora nemmeno grandi organizzazioni criminali di trafficanti. Sono perlopiù i pescatori dei villaggi costieri - impoveriti come tutto il resto del Paese, dal Covid che ha bloccato il turismo di massa e dalla guerra in Ucraina che ha portato l'inflazione oltre il 10%- che guadagnano in media 450 dinari mensili (150 euro) e che per sopravvivere si accordano con i profittatori.

Trainano dalle spiagge di Sfax, detta la Milano tunisina, e da alcuni centri minori del golfo di Gabes distanti un centinaio di miglia da Lampedusa, piccoli navigli di acciaio oppure trasportano sui pescherecci i migranti subsahariani che hanno riempito all'inverosimile il centro di accoglienza dell'isola nelle ultime settimane. Solo un quinto erano tunisini, i quali al momento resistono anche se un aggravamento della crisi economica e sociale potrebbe indurre soprattutto i giovani a partire.

Con viaggi ad alto rischio per i poveri. Secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, nel 2022 almeno 600 persone sono morte nella traversata con barche improvvisate. La guardia costiera di Tunisi ha dato conto, pochi giorni fa, di aver soccorso in 25 operazioni 1.008 persone, di cui 954 di vari Paesi sub-sahariani.

Determinante il clima xenofobo creato dal Presidente della repubblica Kais Saïed, un panarabista conservatore, in un discorso pronunciato il 21 febbraio. Saïed si è scagliato contro le «orde illegali di migranti dall’Africa subsahariana», parte di un disegno criminale per «cambiare la composizione demografica» e fare della Tunisia «un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico».

Per Amnesty International il discorso è stato incitamento all’odio razziale, con scene di caccia al nero nelle città e arresti indiscriminati, confermano l'Oim e le Ong che lavorano nel paese per aiutare i migranti africani. Il presidente ha poi dovuto fare retromarcia davanti alle proteste ferme della comunità internazionale, dei Paesi africani e della stessa Unione africana. Ma oggi nessun africano di pelle scura si sente più al sicuro.

Il Paese ha sempre praticato una politica di accessi facilitati per i Paesi africani occidentali, ma alcuni cittadini di Paesi subsahariani a Tunisi per gli studi universitari o per il lavoro, come Costa D’Avorio e Guinea hanno deciso di rimpatriare per il clima «sempre più ansiogeno», come lo ha definito l’Associazione degli studenti e tirocinanti africani in Tunisia (Aesat). Molti africani stranieri regolari sono stati sbattuti fuori di casa e licenziati dal loro posto di lavoro (per lo più in nero).

Chi non ha un permesso di soggiorno, non può avere casa e ricorre ai canali illegali per arrivare in Europa. I più hanno già attraversato i confini porosi e desertici con Algeria e Libia che vedono passaggi frequenti di flussi di irregolari. Cercavano una sistemazione, hanno trovato la paura. Il boom di partenze dalla Tunisia è confermato dai dati del Viminale. Per la prima volta quest’anno le prime nazionalità di arrivo nel nostro Paese sono infatti Guinea e Costa d’Avorio, seguite da Bangladesh, Pakistan e Tunisia.

Reuters

Cosa sta mettendo la Tunisia in ginocchio? Dopo la rivoluzione dei gelsomini del 2011 le promesse di cambiamento non sono state mantenute, anzi. La corruzione metastatica e l'incapacità dei politici hanno aggravato la crisi. Saïed, docente di diritto costituzionale indipendente dai partiti, è stato eletto a palazzo di Cartagine nell'ottobre 2019 con un programma di riforme anticasta e anticorruzione, in nome della democrazia diretta.

In tre anni e mezzo di iperpresidenzialismo ha liquidato il vecchio governo, i partiti, parlamento e magistratura, mandando in soffitta la costituzione del 2014 con un referendum poco partecipato e inducendo elezioni parlamentari boicottate dall'opposizione cui ha partecipato solo l'11% della popolazione. Che stando ai sondaggi, gli attribuirebbe, però, ancora il 40% di consensi soprattutto nelle fasce più basse.

Lo appoggia l'esercito, mentre il mondo economico e produttivo lo starebbe abbandonando, come hanno fatto i sindacati. Una settimana fa Saïed ha sciolto anche i consigli municipali, ultima roccaforte del decentramento amministrativo, dominati dal partito islamista moderato Ennahda, suo principale rivale, promettendo anche qui lotta alla corruzione e nomine di sua scelta.

Dietro a questa involuzione autocratica c'è la questione più drammatica, trovare i soldi per evitare il fallimento del superindebitato Stato tunisino. Il Fondo monetario internazionale sta trattando per concedere un prestito di quasi due miliardi di dollari, ma chiede riforme economiche sanguinose come l'abolizione dei sussidi generalizzati a benzina e pane e la chiusura di molte aziende pubbliche. Se Saïed dovesse cedere, la Tunisia scenderebbe in piazza, garantiscono gli osservatori, per cacciarlo. Nemmeno i generosi prestiti dei Paesi arabi servirebbero a evitare il default che inquieta Italia ed Ue non solo per ragioni di sicurezza e migratorie. Il futuro del Paese è dunque in bilico.

Il dossier tunisino riguarda l’Italia per l’approvvigionamento energetico e gli interessi economici e commerciali. Il gasdotto Transmed, conosciuto anche come “Enrico Mattei”, porta in Italia il prezioso gas algerino passando proprio per la Tunisia. A questo si aggiunge Elmed, il progetto strategico d’interconnessione sottomarina elettrica tra Italia e Tunisia – per il quale Bruxelles ha recentemente approvato un finanziamento di 300 milioni di euro, altri 600 di investimenti se li divideranno Terna e la compagnia statale tunisina – che collegherà Capo Bon con la Sicilia.

Il progetto dovrebbe essere completato entro il 2028 e sarà il primo collegamento di elettricità da fonti rinnovabili dall'Africa, trasformando l’Italia in un “hub energetico” per l’Europa. Inoltre l’Italia è divenuta quest’anno primo partner commerciale della Tunisia, sorpassando per la prima volta la Francia. Ci lavorano 900 imprese italiane mentre conta 217mila persone la diaspora tunisina in Italia, che l'Oim sta contattando per progetti di investimento nelle regioni d'origine con la cooperazione italiana, qui molto presente da 30 anni, per creare occupazione e prevenire le partenze. E l'Italia sta facendo molto a ogni livello per una terra con la quale ha legami antichi.

Intanto, i naufragi sono in aumento. A Zarzis, una volta “perla del Mediterraneo”, il cimitero dei migranti ignoti annegati guarda idealmente la porta di Lampedusa e continua a riempirsi.


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