martedì 6 febbraio 2024
L'ex ministro dell'Università fondò con Andreotti e D'Antoni Democrazia Europea, ultimo tentativo (non andato a segno) di centro autonomo popolare: "La premier è in rotta di avvicinamento al Ppe"
«Vuoto politico in cui si è inserita Meloni»
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Ortensio Zecchino nel 2001, con Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni, fondò Democrazia europea, l’ultimo tentativo che si ricordi di dar vita un centro popolare autonomo: «Più che un Terzo polo l’obiettivo era ridare dignità a una cultura politica con l’ambizione di diventare primo polo, svuotando progressivamente il bacino d’utenza occupato da Forza Italia per abbandono del campo da parte degli altri». Fuori dalla politica da 23 anni, Zecchino è tornato all’insegnamento e agli studi di Storia del diritto medioevale e dal 2006 è alla guida di Biogem, istituto all’avanguardia di ricerca genetica e molecolare. Presiede inoltre il Comitato per le celebrazioni degli 80 anni di storia della Dc.

Che cosa era accaduto?

Nel Partito popolare c’era stata una lunga disputa che portò alla nascita della Margherita. Alcuni di noi, superando molti dubbi, posero però come condizione vincolante che fosse confermata l’adesione al Ppe, per avere certezza che non fosse abbandonata la nostra collocazione naturale. Di fronte al diniego non ci sentimmo di aderire, e fondammo Democrazia europea. Lo facemmo con generosità, Andreotti era uscito assolto da un paio di mesi dalle vicende giudiziarie, mentre io mi dimisi da ministro dell’Università.

Ma non aveste successo.

Restammo sotto la soglia del 4%, i motivi sarebbero difficili da spiegare oggi. Diciamo che fummo penalizzati dal cosiddetto “voto utile”; eleggemmo solo due senatori col recupero proporzionale in Campania e Sicilia.

Che cosa intende per «abbandono del campo»?

Mi riferisco all’errore compiuto da Martinazzoli del 1994. La Dc, in una riunione alla Camilluccia, nel gennaio 1993, aveva deciso di appoggiare il referendum di Mario Segni. Tutti, da Gava a De Mita, da Andreotti allo stesso Martinazzoli (contrari solo Forlani e Taviani) accettarono la prospettiva bipolare, nello spirito della politica dell’alternanza teorizzata da Moro, ma anche da De Gasperi. Se Martinazzoli si fsse candidato in alternativa alla “gioiosa macchina da guerra” messa in piedi da Occhetto, Berlusconi - che pure non vedeva l’ora – avrebbe rinunciato. Ma, anche per le tante spinte interne che lo frenarono, non lo fece, e aprì la strada alla “discesa in campo”.

Il richiamo del voto utile ha una minore presa nel voto europeo, in cui ogni partito corre da solo. Un centro credibile su quali basi potrebbe nascere?

Non è una questione geometrica. Il bipolarismo italiano non può che ricalcare quello europeo, con due blocchi principali contrapposti. A sinistra si materializza sempre più il passaggio preconizzato da Del Noce dalla rivoluzione marxista al partito radicale di massa, mentre da questa parte manca un progetto chiaramente ancorato al Ppe, che faccia da argine al relativismo etico di cui parlava Ratzinger.

Un centro cattolico, quindi?

La parola “cattolico” la terrei fuori, seguendo l’insegnamento di un grande sacerdote, per niente clericale, come don Sturzo. Si tratta, cattolici e uomini di buona volontà insieme, di dare un futuro a un grande patrimonio di principi e valori e a una cultura politica, che hanno fatto la storia italiana ed europea. Ma occorre un leader e onestamente non lo si vede all’orizzonte.

Una proposta politica ben distinta anche dalla destra di Giorgia Meloni?

I popolari italiani nel Ppe hanno sempre militato, con il cosiddetto “gruppo di Atene”, nella parte più centrista del Ppe, in una certa sintonia con la Cdu tedesca. Ma la presidente del Consiglio sta modificando continuamente le sue posizioni di partenza, rinunciando alle promesse elettorali, tanto che ritengo probabile un suo avvicinamento al Ppe.

Perché accade?

Perché vede uno spazio enorme, nonostante la fiamma che ha ancora nel suo simbolo e la classe dirigente inadeguata che si ritrova. Un “campo abbandonato” dove avevano provato ad addentrarsi anche Berlusconi prima e Salvini poi, senza mostrare la stessa capacità.

Sta dicendo che c’è il “rischio”, se non nasce una nuova iniziativa, che il centro lo interpreti la destra?

Lo ha detto lei.

Angelo Picariello


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