venerdì 7 aprile 2023
Il ministro dell’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste affronta i temi caldi del momento e la questione di una ridefinizione del Pnrr
Il ministro Francesco Lollobrigida

Il ministro Francesco Lollobrigida - ANSA

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Francesco Lollobrigida esce da un Consiglio dei ministri che ha avuto il centro il tema siccità. E in quest’intervista il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste spiega la visione «strategica» che il governo Meloni sta mostrando su questo come su altri dossier, incluso il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che è al centro del dibattito: «La siccità non è un’emergenza improvvisa, sono 20 anni che, ciclicamente, il Paese ne è colpito - dice Lollobrigida, il politico più vicino alla premier Meloni -. Paghiamo le conseguenze di una mancata visione, combinata a primati negativi nella dispersione di acqua, giunta al 40% di media nazionale con punte anche del 50%, a un recupero di acque piovane che non supera l’11% e a criticità nell’utilizzo delle acque reflue, lontano dal livello auspicato dall'Ue e dallo straordinario 77% raggiunto da Israele. Servono fondi, ma ancor più interventi immediati per disboscare quella sovrapposizione di enti, consorzi, competenze e legislazione che crea i prodromi del problema».

A cosa si riferisce?

Penso a esempio alle dighe. In Italia ne abbiamo oltre 500, la cui capienza non è però sfruttata per un terzo per l’accumulo di detriti il cui smaltimento è frenato dalle procedure: se vi mettessimo mano, sarebbe come recuperare oggi 150 dighe nuove. Puntiamo poi a una strategia basata su piccoli bacini per l’agricoltura, sulla scelta di colture meno idro-esigenti, su desalinizzatori da realizzare nel medio periodo, oggi a costi più abbordabili grazie alle nuove tecnologie.

Sull’agroindustria avete appena istituito, assieme al dicastero delle Imprese e del Made in Italy di Adolfo Urso, un tavolo con imprese e sindacati. Cosa intendete fare?

Faccio una premessa: noi pensiamo che l’Italia, anche priva di quella stabilità politica non avuta in passato, sia una Nazione migliore di quanto la si sia descritta finora. Ma lo è se si lavora insieme. Nel campo agricolo non c’è distonia fra produttore, trasformatore e consumatore. Fenomeni interni, come la concorrenza sleale, e scenari internazionali che tendono a standardizzare il cibo nel mondo ostacolano questo sistema. Serve una regia politica, finora latitante. È un modello altrove naturale, penso alla Francia. Tutti i vari ministeri lavorano in grande osmosi, perché ogni settore lo si difende tutti insieme. Al Vinitaly abbiamo avuto 11 ministri presenti: perché l’agricoltura la difendono anche l’Ambiente, il Mimit, il Turismo con l’enoturismo, il Lavoro, la Cultura, ecc.

Il contrasto alla standardizzazione del cibo richiama la Sovranità alimentare che avete voluto nel nome del dicastero.

Non va letta però in una chiave sovranista come la si vuol intendere: ho già ricordato che questo concetto è stato introdotto per primo nel 2008 dall’Ecuador a guida socialista, quindi... Per noi sovranità vuol dire la facoltà di scegliere il sistema produttivo e la tipologia di alimentazione sulla base di fattori culturali, che in Italia sono legati soprattutto alla qualità. Contro l’aggressione delle multinazionali alimentari.

Un’azione di vero progressismo, intende dire?

Occorre maturare la consapevolezza che le scelte che abbiamo davanti non possono essere incentrate su bioreattori per carni sintetiche, bottiglie commestibili, certificati basati su algoritmi come Nutriscore. La qualità è nemica della standardizzazione, ma anche di processi produttivi massivi che ledono i diritti umani, condizionano specie i più poveri e inducono a una cattiva nutrizione. In questo vogliamo una società più interclassista.

Veniamo al Pnrr. La Lega spinge per rinunciare a progetti incerti, che generano nuovo debito senza garantire una maggiore crescita.

La premier Meloni e il ministro Fitto stanno ben operando. È giusto utilizzare al meglio tutte le risorse Ue e, al contempo, confidiamo in una ridefinizione del Pnrr perché, al di là delle scadenze temporali, la guerra ha mostrato che sono cambiate le priorità, a esempio non ci possiamo più affidare a filiere lunghe. Quando lo dicevamo per primi ci irridevano, ora molti concordano.

Ma c’è o no una divaricazione tra Fdi e la Lega?

Mi sembra che lavoriamo tutti nello stesso verso. Dipende dal punto di vista da cui si leggono le parole: si può non essere d’accordo col dire che sarebbe meglio fare a meno di soldi spesi male? D’altronde non vedo perché l’Ue dovrebbe opporsi invece a una revisione del piano che chiede più sviluppo.

M5s e Pd si dicono disposti al dialogo sul Pnrr. Risponderete al loro appello?

Contano i fatti. Anche Meloni all’opposizione si mise a disposizione di Draghi premier e la riprova fu la linea di Fdi sulla guerra in Ucraina, che ha reso l’Italia più credibile nel mondo, così come oggi è tornata protagonista nel Mediterraneo.

A proposito: state faticando però anche voi a gestire l’immigrazione?

La nostra ricetta prevede un doppio binario. Da una parte tentare di fermare l’immigrazione clandestina, anche perché meno partenze uguale meno morti, inoltre chi fugge davvero dalle guerre è appena il 10% di chi arriva. Dall’altra l’obiettivo vero – non perseguito finora dalla stessa Ue - è far crescere quelle nazioni. Per noi gli ingressi clandestini sono il primo nemico di quelli legali. Chi arriva ha il diritto di essere trattato alla pari dei cittadini italiani, e in passato spesso non è avvenuto: senza penalizzazioni, ma anche senza vantaggi.

Come pensate di conciliare i flussi in arrivo con l’esigenza di manodopera?

Per rispondere alle esigenze del mondo produttivo puntiamo su una programmazione triennale dei flussi e sulla formazione. E' assurdo avere persone che possono lavorare, ma restano a casa prendendo il reddito di cittadinanza, mentre sappiamo che il lavoro c'è proprio perché le aziende chiedono più manodopera e alcuni settori, in primis agricoltura e turismo, lamentano carenza di lavoratori. Non capisco perché alcuni settori possano essere considerati meno degni di altri. E lo dico da nipote di un emigrato che mi ha insegnato la dignità del lavoro.

Qual è la cosa di cui è più soddisfatto in questi primi mesi di governo? E quale il maggior ostacolo in cui vi siete imbattuti?

Ci danno entusiasmo il rapporto coi cittadini, confermato anche dall'esito del voto in Friuli Venezia Giulia, e la constatazione che si stanno sgretolando i pregiudizi formulati al nostro arrivo. Come l’idea che l’Italia sarebbe stata isolata in Europa. Il problema maggiore è confrontarsi con una struttura burocratica che aveva perso l’abitudine a un indirizzo politico e che non sempre era sinonimo di più efficienza. Ma ora è una stagione nuova.

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