sabato 25 gennaio 2025
L'ex deputato della Margherita rilancia il dibattito su una nuova presenza politica, di area cattolica, sgnaciata dai poli: ora è possibile, ed è praticabile
Giorgio Merlo

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Finalmente è ripartito un forte dibattito attorno ad un rinnovato protagonismo politico dei cattolici italiani. Un protagonismo che, come ovvio, non può essere finalizzato a costruire un “partito di cattolici” o “dei cattolici”. Che, del resto, nel nostro Paese non c’è mai stato. Perché la stessa Dc è stata solo un “partito di cattolici”. Seppur di massa, popolare, interclassista e di governo. Ma, al di là di questa rassicurazione, è indubbio che il ruolo politico dei cattolici nella società contemporanea si deve anche e soprattutto qualificare per il progetto politico che dispiega concretamente. E questo progetto resta quello di saper declinare, con efficacia e senza alcuna supponenza, quella che la miglior tradizione democratico cristiana chiamava semplicemente “politica di centro”. Ovvero, non un partito ma un progetto politico, appunto.

Ora, è di tutta evidenza che legare il ruolo e l’iniziativa dei cattolici - seppur caratterizzati da un forte pluralismo di accenti, di sensibilità e approcci al loro interno - con una rinnovata, qualificata ed originale “politica di centro” è del tutto possibile e praticabile. Purché avvenga in partiti o movimenti che non siano quasi antropologicamente estranei ed esterni. Per essere ancora più chiari, sarebbe difficile, nonché impraticabile, declinare questa sensibilità culturale e questa iniziativa politica nei partiti populisti, estremisti, massimalisti, radicali o ipersovranisti. Non per pregiudizi culturali o ideologici. Ma per la semplice ragione che quando un partito ha un progetto politico e una cultura di riferimento ben definiti non può offuscarli oltremisura. Fuorché non preveda di relegare il ruolo di un’altra cultura politica, nel caso specifico quella cattolico democratico o popolare o sociale, in un angolo. Che, del resto, è quello che è concretamente capitato in questi ultimi anni in molti partiti. Sia sul versante del centrodestra e sia, soprattutto, su quello del centrosinistra. Insomma, e su questo fronte, ci si è limitati a giocare un ruolo del tutto marginale, periferico e quasi ornamentale. Quello che un tempo avevano, seppur mutatis mutandis, i “cattolici indipendenti di sinistra” all’interno dello storico Partito comunista italiano.

Per queste ragioni, semplici ma essenziali, va riaffermato con forza che il futuro dei cattolici italiani non può essere disgiunto, oggi, da una riaffermazione di una altrettanto forte e qualificata “politica di centro”. Ma il tutto non può avvenire all’insegna della confusione e della furbizia. Non passa attraverso la gentile concessione di qualche seggio parlamentare la strada per riaffermare la specificità e l’originalità di una cultura politica che conserva, tutt’oggi, una straordinaria attualità e modernità. Cioè, detto con parole ancora più semplici, non passa attraverso il riconoscimento delle cosiddette “quote panda” nelle liste la soluzione più congeniale per rilanciare il ruolo e la presenza dei cattolici. Questa specificità e questa originalità devono essere inverate nei partiti, o negli schieramenti, che non siano del tutto estranei a quell’universo valoriale, politico, sociale, programmatico e forse anche etico.

E le recenti iniziative che sono state organizzate, al di là del loro esito concreto, sono state utili anche per rendersi conto dove è possibile, e dove è sostanzialmente impraticabile, percorrere la strada per ridare un giusto e fisiologico protagonismo politico alla tradizione, alla cultura e al pensiero dello storico movimento cattolico italiano. Senza ridurre il tutto ad un mero posizionamento tattico o, peggio ancora, ad una sistemazione personale o di gruppo. Sarebbe una ben misera cosa rispetto al confronto sui cattolici e la politica che si è aperto nella società contemporanea.

Già parlamentare

presidente di Scelta Popolare

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