domenica 17 marzo 2024
Il ministro degli Esteri a tutto campo: «Le armi a Kiev? Vogliamo la pace e la precondizione è garantire una situazione di equilibrio con la Russia»
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani - Ansa

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Ministro Antonio Tajani, dall’Ucraina spirano venti di guerra sempre più minacciosi e l’Europa sembra meno compatta.

Noi dobbiamo lavorare sempre per la pace. E la precondizione è che ci sia una condizione di equilibrio - risponde il titolare della Farnesina e vicepremier, nonché segretario di Forza Italia -, per raggiungere la quale dobbiamo proseguire con gli aiuti militari ed economici a Kiev. Certe fughe in avanti, come la disponibilità a inviare truppe e i vertici a due o a tre, non servono a dimostrare la compattezza e l’unione dell’Europa. Anche a livello Nato. Con la decisione di non far entrare l’Ucraina si è dato un segnale preciso: un conto è difendere l’indipendenza di quello Stato, un conto è dichiarare guerra alla Russia, che nessuno vuole.

Ha escluso in modo netto l’invio di truppe italiane dicendo di non capire la linea di Macron. Si può pensare però di aiutare la “piccola” Ucraina solo con armi e missili? Non c’è una sottile ipocrisia in tutto ciò?

Abbiamo sempre detto che mai avremmo mandato missili offensivi e truppe, ma solo contraerea e armi difensive, nello spirito della nostra Costituzione. Sono cose molto differenti ed è questa la nostra coerenza, che rivendico. Detto ciò, mi auguro che si apra al più presto un tavolo di pace.

Negli ultimi giorni sono risuonate le forti parole sulla pace del Papa e di Mattarella.

Sono due piani distinti. Il Papa è il capo della cristianità, la massima autorità religiosa per noi cristiani, e ha detto che bisogna fare di tutto per raggiungere la pace, come è giusto che dica. Il capo dello Stato ha usato parole sagge, che sono le stesse dette da questo governo.

L’area dell’ex Unione Sovietica e in generale tutto l’Oriente saranno fonte anche nel prossimo futuro di grossi squilibri geopolitici?

Ci sono forze esterne, come l’Iran e la Cina che non devono assolutamente mandare armi a Mosca. L’Iran soprattutto è in gran fibrillazione, come dimostra sia schierandosi con Putin, sia creando problemi a Israele con l’appoggio a Hezbollah e nel Mar Rosso con gli Houthi. Per questo, come ha fatto il G7, dobbiamo far arrivare loro il messaggio che non conviene un’escalation, una sorta di alleanza Russia-Cina-Iran-Brics e altri Paesi di quelle aree con democrazie allargate ed economie aperte.

Domani si terrà il Consiglio Affari esteri della Ue, dove lei presenterà il programma “Food for Gaza”, dove secondo stime Onu ci sono oltre 500mila persone vicine alla carestia. Come funzionerà?

È un’iniziativa italiana,che punta a rendere più efficace l’arrivo degli aiuti umanitari via terra o mare, piuttosto che paracadutarli. Abbiamo coinvolto Onu, Pam, Croce rossa e Mezzaluna rossa. In particolare vogliamo rendere più operativo il corridoio marittimo Larnaca-Gaza, per farci trovare pronti nella speranza che arrivi presto una tregua. La situazione sta degenerando.

Ha qualche informazione in più al riguardo?

Sono circa 1,4 milioni gli sfollati che hanno trovato rifugio a Rafah e oltre 2 milioni di persone sono a rischio di insicurezza alimentare estrema. E l’84% dell’edilizia scolastica e ospedaliera sarebbe danneggiato o distrutto. Non c’è tempo da perdere. Per questo reputo la formazione di un nuovo governo dell’Autorità nazionale palestinese un segnale molto importante nel difficile cammino verso l’interruzione dei combattimenti. Il presidente Abu Mazen mi aveva anticipato l’avvio di questo percorso di rinnovamento che l’Italia sostiene con forza. Nel frattempo, intendiamo proseguire l’accoglienza in Italia di bambini da Gaza.

Aumentano intanto da noi gli episodi di antisemitismo. C’è da preoccuparsi?

È un fenomeno denunciato anche dal ministro Piantedosi. Si confonde la polemica col governo di Israele con gli attacchi al popolo ebraico. È la via peggiore per difendere la causa palestinese. L’attacco a Molinari, il direttore di Repubblica a cui è stato impedito di parlare a Napoli, è un segnale molto preoccupante, inconcepibile per una democrazia come la nostra. Potevano fare come i giovani di Forza Italia alla Sapienza che, contro la professoressa Di Cesare che aveva dichiarato sulla brigatista Balzerani, hanno fatto un flash-mob silenzioso.

Oggi Giorgia Meloni sarà al Cairo con la presidente della Commissione Ue per replicare il modello dell’intesa con la Tunisia. Però proseguono sbarchi e, soprattutto, morti in mare. Parlare di “grandi risultati” non è propaganda?

No perché negli ultimi mesi c’è stata una forte riduzione nell’arrivo di immigrati clandestini. Noi siamo a favore degli immigrati legali, tant’è che ne abbiamo programmato l’arrivo di oltre mezzo milione in tre anni. Oltre a ciò, l’Egitto resta un Paese chiave per la stabilità di quell’area, come il Qatar, gli Emirati Arabi e la Giordania. Ricordo che è dal 2010, quando ero vicepresidente della Commissione Europea, che si parla di un “piano Marshall” per far crescere l’Africa e frenare così l’emigrazione, il nostro “piano Mattei” ne è una diramazione. A noi interessa un dialogo da pari a pari con questi Paesi africani. Anche perché, se non lo facciamo noi lo faranno altri.

L’Italia sembra troppo “morbida” sull’ingiusta detenzione preventiva di Ilaria Salis in Ungheria. Cosa si sta facendo?

Noi abbiamo 2.045 detenuti italiani nel mondo e verso tutti l’impegno di questo governo è lo stesso. Sul campo ci sono, però, situazioni molto diverse. Prendiamo Chico Forti: abbiamo ottenuto il suo trasferimento dagli Usa, ma lui è un detenuto con sentenza passata in giudicato e ci sono voluti molti anni. Bisogna lavorare in silenzio per ottenere risultati, come li abbiamo avuti per Alessia Piperno che era nelle carceri dei pasdaran e per i tre italiani liberati in Mali. Ora tocca alle autorità giudiziarie ungheresi decidere sui domiciliari a Ilaria Salis. Far uscire un italiano detenuto prima di una condanna non è facile, non dobbiamo interferire né criticare i poteri di un altro Stato. Ma la nostra attenzione e vicinanza c’è, per la signora Salis come per gli italiani in prigione in Romania. E per tutti gli altri.

Il Ppe ha confermato la candidatura di Ursula von der Leyen, a cui però sono mancati oltre 200 voti. Inoltre è sotto attacco per i fondi all’Ungheria e alla Tunisia. Non è una candidatura debole?

Prima di tutto bisogna andare a votare. Ursula von der Leyen è il nome che il Ppe, qualora dovesse vincere, proporrà al Consiglio Europeo chiamato a indicare il presidente della futura Commissione. È un’indicazione di massima, poi si vedrà il quadro che uscirà dalle urne. Intanto è stata designata da un congresso vero e ha ottenuto l’80% dei consensi: non è poco, ricordo che Juncker ottenne anche di meno.

Veniamo in Italia: diversi preti che operano contro la criminalità e la tratta hanno subito attacchi. Pensa a una qualche iniziativa al riguardo?

Da cattolico sono sempre sensibile a queste figure e questi mondi. Per questo ho voluto riunire di recente alla Farnesina tutte le congregazioni missionarie: svolgono un ruolo prezioso per diffondere in tutti i continenti l’immagine di un’Italia solidale e trasparente. E ho voluto un inviato speciale per la tutela della libertà religiosa.

Alle recenti regionali ha sorpreso molti la tenuta di Forza Italia. Pensa davvero di poter risalire verso il 20 per cento?

Il 20% è l’obiettivo per le elezioni politiche. Alle Europee puntiamo al 10%. Chi ci dava in calo aveva fatto analisi sbagliate. Berlusconi non è stato un Re Sole, ma il creatore di una comunità politica che si è coalizzata nel dover andare avanti. Il nostro punto di forza è essere un partito serio, responsabile, liberale, riformista e cristiano, che non promette, non urla, non litiga con alleati e avversari e non aggredisce. Sono le cose che cerca un’ampia fetta di Paese che vuolevessere rassicurato davanti al contesto difficile in cui si dibatte il mondo di oggi.

Il terzo mandato è un capitolo chiuso e davvero Fi ambisce al Veneto con la candidatura di Flavio Tosi?

Per me non si è mai aperto. Già nel 2022 avevo detto di essere contrario. Penso che sia dannoso avere una concentrazione di potere per troppo tempo, come capita ai presidenti Regione che nel loro ambito hanno poteri anche superiori a un premier. Nemmeno il presidente degli Stati Uniti può durare più di 8 anni. Il Veneto non c’entra nulla con questa questione. Ciò detto, noi non imponiamo nessun nome. Ma abbiamo uomini e donne validi come Tosi, appunto, e come Bardi e Cirio in Basilicata e Piemonte. Se anche altre forze del centrosinistra guardano con attenzione a loro, è un segnale importante nel processo che ci vede impegnati ad aprirci anche ad altre aree.

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