venerdì 14 luglio 2023
La denuncia di sindaci e Terzo settore: mancano posti letto e i bandi vanno deserti. La scelta di puntare sui Cas fa discutere. La strategia del Viminale e i distinguo della Lega
Corsi di formazione per migranti in un centro d'accoglienza

Corsi di formazione per migranti in un centro d'accoglienza

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Il sistema dell’accoglienza rischia di saltare. Perché mancano posti letto per i migranti arrivati, perché nessuno partecipa più alle gare indette sul territorio, perché manca programmazione. La denuncia lanciata da sindaci e Terzo settore, nel cuore dell’estate, arriva all’indomani del segnale lanciato da una parte della Lega al resto della maggioranza: basta con l’ospitalità diffusa. Un proposito, questo, che va contro le recenti aperture del Viminale che, per bocca del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ad aprile aveva aperto al modello di presa in carico dei profughi a piccoli gruppi nei territori. Cosa sta succedendo nelle realtà che si occupano di richiedenti asilo? E quali sono le vie possibili per uscire dall’impasse?

Grandi numeri, pochi spazi

Circa 100mila persone sono ospiti del nostro sistema d’accoglienza attualmente: di questi, il 60-65% è destinato alle grandi strutture, i Cas, Centri di accoglienza straordinaria, mentre il 40% rientra nei percorsi Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione che ha sostituito gli Sprar. È proprio questa seconda tipologia ad essere finita nel mirino dei sindaci leghisti del Veneto e del governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Peraltro sono questi stessi piccoli centri a ricevere, in queste settimane, continue richieste di inserimenti, che non riescono ad evadere. Con lo stato d’emergenza proclamato in materia dal governo, la responsabilità è passata tutta nelle mani dei prefetti, che hanno la possibilità di fare affidamenti diretti. E i bandi per garantire nuovi posti letto? Vanno deserti, in attesa di capire dove finiranno i 73.865 migranti arrivati dal primo gennaio al 13 luglio nel nostro Paese (più del doppio rispetto allo stesso periodo di un anno fa). «Dove vadano a finire i nuovi arrivati non è dato sapere – spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana -. Le Prefetture con cui abbiamo a che fare sono in difficoltà nel reperire nuovi spazi, perché quelli tradizionali sono ancora pieni di richiedenti asilo del passato e di profughi ucraini. Poi c’è il discorso relativo alle condizioni che ci pongono, insostenibili dal punto di vista delle prestazioni offerte e della rendicontazione economica, oltreché non rispettose delle modalità di ospitalità che parrocchie e istituti religiosi possono offrire». Così tutto si è fermato, perché la coperta è corta. «Non è stato fatto un lavoro di programmazione - osserva Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci e coordinatore del Tavolo Asilo che raccoglie associazioni laiche e cattoliche -. Da un lato il Viminale ha dato ultimamente disponibilità a garantire più servizi, mentre la legge Cutro aveva tagliato tutto il tagliabile, dalla tutela legale all’assistenza psicologica, fino ai corsi di lingua italiana. Dall’altro, i singoli prefetti si muovono in direzione opposta e cercano di reclutare spazi a tutti i costi. Vogliono che il Terzo settore partecipi alle gare dei Cas? Ci mettano nelle condizioni di farlo». I rimborsi per migrante non vanno oltre i 27-29 euro al giorno, qualcosa in più rispetto alla stagione in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno, ma ancora troppo poco. E poi c’è il difetto di comunicazione con i territori: non si può passare sopra la testa dei sindaci, quando si chiede di ospitare dei richiedenti asilo.

La solitudine dei primi cittadini

Matteo Biffoni è sindaco di Prato e responsabile Anci per i migranti. «Lo dico dal 2015, inascoltato: vogliamo metterci tutti intorno a un tavolo per riscrivere completamente le regole del sistema? Io comprendo le difficoltà dell’esecutivo: ci vogliono le risorse, mancano spazi e operatori. Ma la verità è che la situazione sta scappando di mano, quelli di questa estate sono numeri mai visti». L’emergenza risale da Sud verso Nord: Sicilia e Calabria ancora aspettano risposte sugli hotspot regionali di primissima accoglienza promessi qualche mese fa per gestire lo straordinario numero di arrivi, mentre le grandi città spingono verso la periferia le strutture dell’accoglienza, con il rischio di creare “terre d’esclusione”, piuttosto che d’inclusione. Senza alloggi disponibili e con tempi d’attesa di anni per chi fa richiesta di protezione, tanti finiscono in strada. Nel frattempo, in Toscana la Regione contesta all’esecutivo il metodo di ripartizione dei migranti, con Firenze che parla di numeri che si sono quintuplicati. A Bologna, il prefetto ha promesso di spostare le tende dal centro d’accoglienza di via Mattei, installando nuovi prefabbricati e aprendo all’utilizzo di un’ex caserma. «Il Paese dovrebbe fermarsi e dire: indipendentemente da chi c’è al governo e al Viminale, bisogna ribaltare la prospettiva - osserva Biffoni -: chi scappa da guerre e carestie continuerà ad arrivare e per uscire dall’emergenza servirà l’impegno di tutti».

Il Tavolo asilo chiede per questo da gennaio la convocazione al Viminale delle realtà coinvolte, senza risultato per ora, «anche se abbiamo registrato positivamente le parole del commissario per l’emergenza Valerio Valenti, che ha parlato di obiettivi di accoglienza dignitosa da raggiungere. Il fatto è - osserva Miraglia - che vediamo l’emergenza crescere e non cogliamo segnali di coinvolgimento delle realtà cittadine in cui operiamo». I Comuni in particolare ancora aspettano risposte per migliaia di minori soli che si mettono in fila davanti agli uffici dei servizi sociali. Sullo sfondo c’è una richiesta pressante, quella di cambiare la Bossi-Fini, una legge che lo stesso ex presidente della Camera ha definito recentemente «superata», perché non più adatta ai tempi che corrono. Bisogna fare tanto, mettendo da parte le logiche del consenso.

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