venerdì 19 dicembre 2008
Il controllo  del mercato del metano e delle infrastrutture che lo trasportano è sempre più cruciale a livello economico e politico. Il dossier: come si muove il nostro Paese, dove la dipendenza dalle fonti straniere continua ad aumentare.
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La nuova via dell’oro attra­versa la mappa dell’Europa da Est a Ovest: le rotte che vanno da un punto all’altro stabi­liscono se e come arriverà a de­stinazione il tesoro più conteso degli ultimi anni, anche in casa nostra. È il gas il nuovo oggetto del desiderio, destinato a suscita­re opposte passioni (e tensioni): per Russia e Ucraina, da anni a­cerrime nemiche, è diventato u­na vera e propria ossessione, mentre Turchia e Grecia potreb­bero riavvicinarsi dopo anni di ge­lo diplomatico, in nome di co­muni interessi economici. Il controllo del mercato del meta­no e delle infrastrutture strategi­che che lo trasportano è ormai sempre di più la cartina di torna­sole con cui leggere possibili svol­te diplomatiche, alleanze che si infrangono e rotture inattese. Secondo stime dello Iefe Bocconi, la domanda di metano dell’Euro­pa è destinata a crescere dai 558 miliardi di metri cubi di gas ai 751 miliardi del 2020 ma il preventi­vato aumento dei consumi deve fare i conti con interessi contra­stanti: quello dei Paesi in posizio­ne dominante perché controlla­no le risorse, Russia e Algeria su tutti, quello dei Paesi consuma­tori che vorrebbero spuntare ta­riffe più basse contando su un mercato continentale più aperto e infine quello dei Paesi emer­genti, che vogliono sfruttare i pro­pri giacimenti ma sono in alcuni casi vincolati dal rapporto col Cremlino. L’Italia è uno snodo importante a motivo della sua conformazione geografica, interessata a sud co­me a nord da più di un progetto infrastrutturale, con Eni (prossi­ma a un ingresso di capitale del­la Libia) ed Edison pronte a gio­care un ruolo di primo piano. Le rotte strategiche. Il 10 dicembre è stata la Commis­sione Ue a chiedere ufficialmen­te a Mosca e a Kiev di risolvere «in modo definitivo» il contenzioso che, per l’ennesima volta negli ul­timi anni, rischia seriamente di creare problemi alle forniture di metano per i Ventisette. Ma esiste una via del gas alternativa all’e­gemonia russa? E su quali progetti si fonda? Molte strade portano al Caspio, ritenuto un bacino deci­sivo per il futuro prossimo. Da qui dovrebbe partire il Na­bucco, uno dei principali corridoi alternativi alla via siberiana: un’arteria lunga 3.500 chilometri, costo stimato oltre 5 miliardi di euro, con previsioni di fornitura intorno ai 30 miliardi di metri cu­bi di gas. Poco più a Sud si svilup­pano altre due rotte strategiche: l’Itgi (acronimo che si rifa alle ini­ziali di Italia, Turchia e Grecia) e il Tap. Il primo corridoio è lungo mille chilometri, 200 dei quali sot­to il mare Adriatico, e ha una po­tenzialità di 10 miliardi di metri cubi l’anno, di cui 8 concessi al­l’Edison, mentre il secondo coin­volge anche l’Albania, per con­cludere il suo percorso in Puglia, con analoga capacità di traspor­to. Più ambiziosi, invece, sono i cor­ridoi aperti dal North Stream e dal South Stream, rispettivamente at­traverso il Mar Baltico e il Mar Ne­ro. In entrambi i casi, però, l’o­biettivo di fare a meno della Rus­sia verrebbe vanificato dalla poli­tica di alleanze portate avanti dal colosso Gazprom, che ha stretto alleanze da un lato con la Germania (basta ricor­dare la famosa alleanza sigla­ta anni fa da Putin e Sch­roeder) e dal­l’altro con l’E­ni. Dal conti­nente africano arriverebbero invece il Galsi, diretto in Sar­degna, e il Medgas, verso la Spa­gna. Nel complesso prende forma una vera e propria ragnatela, co­me racconta il libro «La guerra del gas» di Cristina Corazza. L’Azerbaigian corteggiato. Gran parte dei progetti destinati a ridisegnare l’assetto energetico del Vecchio continente è ferma al­lo studio di fattibilità, senza di­menticare che la realizzazione di infrastrutture del genere com­porta investimenti assai elevati, che gravano sul prezzo finale del metano per livelli anche superio­ri al 50%, dieci volte tanto rispet­to al petrolio che invece si sposta grazie a mezzi mobili. «Ma il problema non è tanto la ca­pacità di trasporto, né se e quan­do i nuovi gasdotti si realizzeran­no – osserva Susanna Dorigoni, ricercatrice dello Iefe Bocconi –. La prima domanda da fare è: ci sarà gas per tutti? Dove andremo a prenderlo? La risposta più pro­babile è: sempre dalla Russia, tan­to più che molte ex repubbliche sovietiche hanno già siglato con­tratti di fornitura con Mosca». L’unico Paese libero da impegni in questo momento è l’Azerbai­gian, non a caso corteggiato da molti capi di Stato e capitani d’im­presa, ma l’incremento di produ­zione più atteso non riguarda Baku, la capitale azera, ma il più lontano Kazakhstan, dove la quo­ta di gas prodotta annualmente dovrebbe salire nei prossimi tre­dici anni da 23mila a 80mila mi­liardi di metri cubi. Ma il gas di A­stana è già stato prenotato da Mo­sca, così come quello di Turkme­nistan e Uzbekistan. Il Gnl e gli americani. Diversa è la situazione nella vici­na Georgia, al centro del conflit­to con la Russia durante l’estate scorsa e snodo strategico per rag­giungere le coste del Mar Nero e la vicina Turchia, come hanno di­mostrato gli attacchi recenti al­l’oleodotto Btc che attraversa l’a­rea. «Il Caucaso è una zona ancora più delicata dal punto di vista geopo­litico – spiega Dorigoni – e l’atti­vismo di molte major americane che vogliono integrare le loro piat­taforme di trasporto e produzio­ne si giustifica anche con la ne­cessità di esportare gas da parte delle economie locali, che devo­no gran parte dei loro profitti pro­prio al mercato dell’energia». In attesa di capire se l’ammini­strazione Obama confermerà la strategia di progressivo affranca­mento da Mosca, c’è chi guarda con interesse al «nuovo» che pro­viene dal Medioriente e dall’Iran: è il Gnl, il gas naturale liquefatto che viene trasportato dalle navi. A beneficiarne sarà anche l’Italia, che dalla primavera prossima do­vrebbe riceverlo attraverso il nuo­vo rigassificatore Edison di Rovi­go. In tutto 10mila metri cubi di gas liquefatto, individuati in Qa­tar. Forse la vera sfida allo strapo­tere russo comincia da qui.
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