lunedì 22 dicembre 2008
Dal 2003 al 2006 sono stati finanziati 863 progetti, realizzati dalle Caritas locali. 51 le iniziative nei Paesi in via di sviluppo per il 2009. Ecco l'impegno della Chiesa in Italia e nel Terzo mondo.
IL COMMENTO: La Chiesa che vorremmo fosse raccontata
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La Chiesa italiana si mobilita a favore delle famiglie in difficoltà. Una mobilitazione che è una delle costanti negli interventi della Caritas, delle diocesi, e di tutte le comunità ecclesiali della Penisola, ma che si è accentuata negli ultimi mesi, specie di fronte all’arrivo della crisi. Lo testimoniano i dati diffusi ieri dall’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali della Cei, in cui sono riportati da un lato i progetti realizzati dalla Caritas italiana nelle diverse regioni del Paese e dall’altro quelli finanziati dal Comitato per gli interventi a favore del Terzo mondo, specialmente nell’ultimo tratto del 2008, che vedranno la loro realizzazione nel 2009.Ne emerge un quadro complessivo di grande attenzione ai nuclei familiari più disagiati. Il che significa iniziative volte a favorire l’integrazione sociale, l’accompagnamento e il reinserimento sociale di persone che vivono in situazioni di disagio sociale. Oppure interventi a favore di minori a rischio. O anche aiuti concreti per anziani e disabili che vivono da soli in casa e che spesso hanno il problema della cosiddetta «quarta settimana» (il loro reddito, cioè, non consente di accedere ai beni di prima necessità lungo l’intero arco del mese, lasciando appunto "scoperti" gli ultimi sette giorni). In tutti questi casi – una novantina di progetti realizzati a livello diocesano, con un impiego di oltre 7 milioni e 800mila euro – l’intervento è stato mirato sia ad assicurare vicinanza fisica e spirituale, sia integrazioni al reddito, microcredito e consumo responsabile, oltre che sensibilizzazione su temi come il diritto alla vita, l’affido e l’adozione.Un altro importante filone di interventi si è concretizzato attraverso la solidarietà verso quei nuclei familiari che hanno uno dei componenti in stato di detenzione oppure verso le famiglie degli ex detenuti. Nei 350 progetti complessivamente realizzati in questo ambito (per complessivi 26 milioni e 632mila euro) rientrano anche gli aiuti alle famiglie migranti e a coloro che hanno subito violenze tra le mura di casa e alle donne vittime di abusi.Non bisogna inoltre dimenticare tutte quelle attività, in gran parte svolte da volontari specializzati nei centri di ascolto, orientamento ed accoglienza. Spesso è proprio in questa sorta di capillare prima linea, diffusa in migliaia di parrocchie e in tutte le diocesi italiane, che avviene il primo contatto tra chi è in difficoltà e chi può offrire aiuto. Perciò, per questi progetti (230 in tutto) sono stati impiegati 4 milioni e 465 mila euro. L’attività a favore delle famiglie disagiate è, però, solo una parte degli interventi promossi dalla Caritas e dalle diocesi italiane. Si pensi che solo dal 2003 al 2006 sono stati finanziati 863 progetti, 164 dei quali ancora in corso, in pratica su tutte le frontiere della carità: carcere, immigrazione, rifugiati, salute mentale, contrasto alla tratta delle nuove schiavitù (soprattutto la prostituzione forzata). E ancora: abbattimento delle barriere architettoniche, emarginazione giovanile, senza fissa dimora, minori. Appare però estremamente significativo il fatto che tra questi progetti, molti siano quelli legati al filone della solidarietà familiare.Alla carità in Italia (realizzata sia attraverso i fondi 8 per mille, sia con altre risorse, messe a disposizione dalla generosità dei fedeli), si aggiungono poi gli interventi nel Terzo mondo tramite l’8 per mille. La maggior parte di questi ultimi riguardano progetti di formazione e sviluppo: dalla sanità alla scuola, dalla formazione professionale all’uso delle moderne tecnologie, alla costruzione di infrastrutture. Ma c’è anche una parte di aiuti che viene erogata in caso di emergenze umanitarie, ambientali o danni provocati dalle guerre. Perché, per parafrasare l’antico adagio, è bene insegnare a pescare, ma talvolta c’è chi non ha neanche la forza di reggere la canna da pesca.Ad Acerra (Napoli). Da tre anni la diocesi di Acerra è impegnata in un Progetto Affido che ha dapprima condiviso con altre diocesi campane e che da quest’anno la vede invece protagonista assoluta con proprie iniziative, frutto anche dell’esperienza finora maturata. «Promuovere famiglie solidali disponibili all’accoglienza di minori in difficoltà è il nostro obiettivo», sintetizza Maria Pia Messina, direttore della Caritas diocesana e  coordinatrice del progetto, nato in seno all’Ufficio diocesano per la pastorale familiare e alla Caritas. «Ma sin dall’inizio abbiamo avuto il supporto di don Silvio Longobardi e del suo ’Progetto Famiglia’ della diocesi di Nocera-Sarno. Una collaborazione preziosa che continua ancora», spiega Maria Pia che è mamma e nonna, con una famiglia sempre aperta all’accoglienza. Il percorso del progetto acerrano, finanziato per poco più della metà dai fondi dell’8 per mille e per la parte restante dalla diocesi, parte dalla campagna di sensibilizzazione nelle parrocchie con l’annuncio domenicale, quindi gli incontri con le associazioni ed i movimenti ecclesiali, con i vari gruppi che in genere frequentano i corsi proposti dalla chiesa, i cresimandi, le famiglie. Un passo avanti sarà prossimamente il contatto con le scuole, per dare informazioni a bambini, genitori ed insegnanti sull’affido e su come possa essere intensa l’esperienza dell’accoglienza. «Ogni domenica è una festa – racconta Maria Pia –. Stand sui sagrati, diffusione di depliant e l’incontro con tante persone. Iniziamo sempre da un passo del Vangelo attinente la famiglia perché l’aspetto spirituale non è secondario. Alle famiglie interessate consegniamo poi una scheda di adesione. Finora sono 25 le famiglie che frequentano il corso di formazione». Già, perché famiglie affidatarie non si diventa da una domenica all’altra. «Grazie ad un protocollo d’intesa con il Comune di Acerra possiamo organizzare almeno sei incontri in cui si esaminano tutti gli aspetti dell’affido, da quello relazionale a quello giuridico, e le varie forme in cui si può dispiegare questo tipo di accoglienza ai bambini», spiega ancora Maria Pia. Attualmente in diocesi sono quattro le famiglie affidatarie, ma si lavora per aumentare le disponibilità. Sarà possibile grazie all’8 per mille con cui il Progetto Affido avrà una propria sede e strumenti tecnologicamente più avanzati per essere più incisivi. «E poi poter offrire un supporto economico alle famiglie affidatarie e a quelle affidanti perché nella nostra diocesi manca il Servizio Affido Territoriale di competenza comunale che dovrebbe garantire il supporto alle famiglie". A Lima (Perù). Nei campi, nelle miniere, in casa, agli angoli delle strade: in Perù lavorano 2 milioni di bambini. Una piaga difficile da combattere, soprattutto nelle regioni montuose andine: il cuore più povero del Paese sudamericano. Fra i vari progetti approvati quest’anno per il Perù dalla Conferenza Episcopale Italiana, c’è il finanziamento di un programma di sradicamento del lavoro infantile nella cascina mineraria artigianale di Cerro Rico, nella Prelatura di Chuquibamba, guidata da monsignor Mario Busquets. In questa stessa zona (nella regione di Arequipa, sud del Paese) lo scorso anno la Cei ha finanziato un doppio progetto (da 110.000 euro) a favore delle comunità Yanaquihua, Charco e Hispacas: «Qui oltre alla povertà estrema, ci sono diversi problemi sociali – spiega Juan Pablo Vizcarra, responsabile dei progetti della Prelatura di Chuquibamba –. Il lavoro scarseggia, c’è un alto tasso di alcolismo, c’è un problema di violenza familiare che colpisce minori e donne».I tre villaggi riuniscono quasi 4.700 persone: gente che sopravvive quotidianamente con il poco che dà la terra a 3.500 metri di altitudine o con la rischiosa attività mineraria artigianale. Il progetto della Cei è stato integrale, racconta Juan Pablo: «In primis è stato realizzato un lavoro di sensibilizzazione e formazione sui diritti umani. Abbiamo spiegato alla popolazione come presentare una denuncia alle autorità, come riuscire a destreggiarsi senza dover pagare un avvocato». Il pilastro centrale del programma sono le donne. «A monte c’è un lavoro di valorizzazione del ruolo della donna, della madre, che in queste comunità contadine, in passato, è sempre stato ridotto alla preparazione del cibo». Al contrario, la donna è quella che porta avanti la famiglia, che lavora, che non butta i soldi nell’alcol e lotta quotidianamente per assicurare un pasto ai figli. «Per questo sono state formate le donne della zona e sono stati creati i cosiddetti club delle madri». La seconda parte del progetto ha riguardato invece l’aspetto sanitario, con l’installazione di latrine. «In questi villaggi non c’è acqua corrente né fognatura. Il problema dello smaltimento dei residui solidi provoca gravi conseguenze igienico-sanitarie soprattutto sui bambini, che soffrono di denutrizione cronica».  
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