giovedì 13 novembre 2014
Torna il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare. Sacconi (Ncd) minaccia la rottura. Ma Renzi da Bucarest taglia corto: dal 2015 superato l'articolo 18.
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Intesa trovata nel Pd sul Jobs Act, il provvedimento legislativo che dovrà riformare il mercato del lavoro. Dopo polemiche, anche dure, "c'è un accordo larghissimo", ora "si stanno definendo i dettagli", ma "il punto politico è l'articolo 18". Lo ha detto il presidente del Pd, Matteo Orfini, al termine della riunione del partito sul Jobs act. Nella delega sarà recepito il testo della direzione Pd sul reintegro su alcuni tipi di licenziamenti, il cui elenco arriverà coi decreti delegati. A questo punto il governo non dovrebbe più porre la fiducia in Camera, come afferma il capogruppo del Pd, Roberto Speranza, che aggiunge: "Sono soddisfatto. Il Parlamento non è un passacarte e abbiamo dimostrato che incide". Torna, quindi, il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare. Come prevedeva l'ordine del giorno della direzione del Pd sul Jobs act approvato a settembre, i cui contenuti verranno introdotti, in Commissione, nel testo di riforma del mercato del lavoro. Sul punto relativo all'articolo 18 l'accordo raggiunto nella direzione del partito democratico stabiliva, fatta eccezione appunto per la possibilità di reintegro nel posto di lavoro anche per i licenziamenti disciplinari, oltre che per quelli discriminatori, "una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l'incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità, abolendo la possibilità del reintegro". Quanto invece agli altri punti decisi in direzione, l'odg impegnava il "Governo a guida Pd" a mettere immediatamente in campo strumenti per allargare la rete delle tutele per chi perde il lavoro. E, quindi, organizzare una "rete più estesa di ammortizzatori sociali rivolta in particolare ai lavoratori precari, con una garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale alla loro anzianità contributiva e con chiare regole di condizionalità attraverso un conferimento di risorse aggiuntive a partire dal 2015". Un altro punto prevede la riduzione delle forme contrattuali: "a partire dall'unicum italiano dei co.co.pro., favorendo la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato con tutele crescenti, nella salvaguardia dei veri rapporti di collaborazione dettati da esigenze dei lavoratori o dalla natura della loro attività professionale". Infine si prevede una riforma dei servizi per l'impiego, la cui organizzazione dovrebbe favorire l'integrazione tra "operatori pubblici, privati e del terzo settore all'interno di regole chiare e incentivanti per tutti". Dal Ncd, alleato di governo, arrivano però segnali negativi. Durissimo, in particolare, il commento del capogruppo Ncd al Senato, Maurizio Sacconi: "Se il testo in arrivo è quello descritto dalle agenzie non è accettabile. Occorre una riunione urgente di maggioranza. Altrimenti si rompe coalizione".

Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, però, ha replicato che "non ci sarà alcun vertice di maggioranza", facendo ulteriormente alzare la temperatura dello scontro con Ncd e Scelta civica. La dichiarazione è stata poi stemperata dicendo che non ci saranno vertici con tutti i segretari ma "in Parlamento si lavorerà tutti insieme".

In serata è lo stesso presidente del Consiglio a tagliare corto. Con il Jobs act si interverrà sul "meccanismo dell'articolo 18 che va finalmente superato", ribadisce Matteo Renzi da Bucarest. "Dal primo gennaio ci saranno nuove regole sul lavoro, minori costi per gli imprenditori, più soldi in busta paga per i lavoratori, una riduzione delle forme contrattuali". Così, conclude: "non si tolgono diritti ma si riducono gli alibi".

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