sabato 17 giugno 2017
Il presidente della Caritas riflette: senza gli stranieri tante fabbriche e scuole saranno costrette a chiudere. Ricordiamoci di quanti italiani sono emigrati
Il cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas Italiana (Siciliani)

Il cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas Italiana (Siciliani)

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«Se è vero, come dicono le proiezioni, che nel 2050 ci saranno tra i 7 e i 10 milioni di italiani in meno, il nostro Stato come potrà reggere? Oggi li vogliamo allontanare, ma tra dieci anni saremo costretti a pagarli per farli venire».

Guarda in faccia la realtà, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, quando parla di migranti e accoglienza. «Preoccupato» dal brutto spettacolo offerto dal Parlamento durante la “discussione” sulla legge dello ius soli, Montenegro si affida alle statistiche per ricordare la necessità di intavolare una discussione pacata e responsabile su un tema da cui dipende direttamente il futuro del nostro Paese.

«Già oggi tante fabbriche si reggono sul lavoro dei migranti – ricorda –. Secondo i dati della Fondazione Moressa, 640mila pensioni di italiani sono già oggi pagate dai contributi versati dagli immigrati. Senza di loro avremmo 30mila classi scolastiche in meno e migliaia di insegnanti senza lavoro».

Si capisce allora come sia centrale e decisivo il dibattito sulla cittadinanza a oltre 800mila bambini e ragazzi nati in Italia ma che italiani non possono ancora considerarsi. «Sono bambini nati in questa terra – ribadisce il cardinale Montenegro – che sono cresciuti accanto ai nostri ragazzi e hanno studiato con loro e che forse non sanno più nemmeno la lingua natia dei loro genitori, perché da sempre parlano l’italiano. A costoro diciamo: tu non puoi. E se lo dovessero fare con i nostri italiani all’estero? Giustamente, ci ribelleremmo».

A tutti, l’arcivescovo agrigentino chiede allora di «guardare la realtà» e «ragionare con calma» senza «trincerarsi dietro la paura». Anche perché, si chiede: «Perché io dovrei aver paura di loro e loro non dovrebbero avere paura di me?».
Questo non significa che il problema non esista, ma che «non può più essere affrontato come emergenza». Perché, ricorda Montenegro, «l’accoglienza è più che salvare una vita e metterla all’asciutto».

Anche di questo si parlerà mercoledì durante la presentazione del Rapporto annuale Caritas-Migrantes, un’occasione per «guardare la realtà» come torna a ripetere il cardinale. «L’integrazione – riflette – non è un problema che riguarda soltanto chi arriva, ma anche chi accoglie. Integrare non significa fare diventare l’altro come me, ma vedere che cosa abbiamo in comune per camminare insieme». E non basta nemmeno, anche se meritoria, «l’accoglienza spicciola», come quella dei lampedusani che «preparano la thermos del the e la mettono sulla porta di casa: non è questa la soluzione del problema». Anche la Caritas è attiva sul versante dell’accoglienza, con 26mila persone ospitate nelle strutture delle diocesi. «Ma anche questa non è la soluzione del problema», ribadisce Montenegro. «C’è una cultura dell’accoglienza da cambiare e lo dovrà fare la Chiesa perché è guidata dal Vangelo, ma anche chi fa politica e guida la Nazione».

Forse, riflette ancora a voce alta il cardinale, «dovremmo ricordarci quando anche noi italiani siamo stati migranti». E racconta un episodio capitatogli in Germania: «Una vecchietta, italiana emigrata tanti anni prima, mi disse che le immagini degli sbarchi dei migranti le facevano rivivere ciò che lei stessa aveva passato. Gli altri ci hanno accolti. È dov’è, invece, la nostra disponibilità ad accogliere? È offuscata dalla paura? Ma è troppo comodo cavalcare la paura, è la strada più sicura per raccattare voti».
È naturale che, continuando a battere sulla violenza e la delinquenza, la gente poi sia spaventata. Secondo Montenegro si deve, invece «saper vedere anche il positivo» del fenomeno migratorio, che c’è come raccontano anche i “numeri”, perché ciò «aiuterebbe davvero a trovare una soluzione». Che, invece, si allontana se addirittura si fa ricorso alla violenza, anche fisica, persino in Parlamento.

Le scene dei giorni scorsi hanno lasciato «molto perplesso e preoccupato» anche l’arcivescovo Montenegro, che con la memoria è andato «ai tempi in cui, purtroppo, questi metodi erano utilizzati». Tempi che non vorremmo più rivivere. «Se questo è ciò che insegnano gli uomini che ci rappresentano ho davvero timore. Così vince chi grida di più, chi ha i muscoli. È già successo nei tempi passati e mi spaventa che quei tempi possano tornare. Mettendo sempre da parte il diverso cominceremo presto a fare selezione anche tra noi: i giovani verso gli anziani, i ricchi coi poveri, chi ha cultura contro chi non ce l’ha. Mi preoccupa molto un’Italia che affronta i problemi così».

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