lunedì 4 luglio 2022
Prosegue questa settimana alla Camera l'esame del testo che spacca la maggioranza. Si consente ai figli di genitori stranieri di diventare cittadini italiani dopo un ciclo di studi di 5 anni
Un flash mob per la legge sullo ius scholae vicino a Montecitorio

Un flash mob per la legge sullo ius scholae vicino a Montecitorio - FACEBOOK/Ruben Di Stefano/ Ansa

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Una «legge di civiltà», da varare il prima possibile, secondo Pd, M5s, Leu e sinistra.

Una legge non prioritaria, non necessaria e perfino «dannosa», secondo la Lega, Fratelli d’Italia e una parte di Forza Italia, che la avversano.

Dopo il rinvio dei giorni scorsi, nella settimana iniziata oggi proseguirà l’esame in aula alla Camera del testo sullo Ius scholae, licenziato dalla commissione Affari costituzionali con una spaccatura nella maggioranza.

Una legge che divide, dunque, col Carroccio che tramite il segretario Matteo Salvini più volte ha evocato lo spettro di una crisi di governo (tuttavia, il premier Mario Draghi ha detto che l’esecutivo non prenderà posizione). Nel caso in cui il testo dovesse ottenere il via libera della Camera, il confronto si sposterà poi a Palazzo Madama, dove in base agli equilibri politici e ai numeri dei singoli gruppi l’approvazione finale potrebbe essere più ardua.

I contenuti della legge

Un quinquennio di scuola per essere italiani. Il provvedimento, com’è noto, poggia su un articolo cardine, quello che consente l’acquisizione della cittadinanza italiana per il minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese, ma a una condizione.

Quale? L’aver frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione oppure percorsi di istruzione e formazione triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.

Ancora, in base al testo, affinché il figlio o la figlia acquisisca la cittadinanza italiana, i genitori del minore interessato in possesso dei requisiti - purché siano entrambi residenti in Italia - dovranno rendere una «dichiarazione di volontà» entro il compimento della maggiore età del figlio.

A sua volta, la persona interessata potrà rinunciare alla cittadinanza acquisita entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, purché in possesso di altra cittadinanza. O, viceversa, fare richiesta di cittadinanza all’ufficiale di stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, ove i genitori non abbiano reso la dichiarazione di volontà. Infine, una norma puntualizza che il requisito della minore età si considera riferito al momento della presentazione dell’istanza o della richiesta da parte dei genitori.

Le regole attuali

Attualmente gli stranieri possono chiedere la cittadinanza per naturalizzazione solo dopo 10 anni di permanenza continuativa sul suolo italiano. I loro figli, invece, devono aspettare il compimento della maggiore età, dimostrando di aver vissuto ininterrottamente qui dalla nascita. E le cronache degli ultimi anni sono zeppe di casi paradossali, compresi quelli di atleti in erba con primati internazionali, che non possono gareggiare per le Nazionali azzurre di categoria perché ancora non cittadini, benché nati e cresciuti in Italia.

Pd-5s: un milione di ragazzi fuori dal limbo

«Non ci faremo intimidire dalle destre di Salvini e Meloni che, con puntuale benaltrismo, strillano che i problemi dell’Italia sono altri. Lo Ius scholae è un provvedimento di civiltà e lo sosterremo fino alla fine. Lo dobbiamo a un milione di italiani», è il ragionamento della vicepresidente dell’Europarlamento, la dem Pina Picierno, che con tutto il Pd, a partire dal segretario Enrico Letta, è schierato sul fronte del sì. La pensa così pure M5s, come ha ribadito la capogruppo in commissione Affari costituzionali Vittoria Baldino: «Le mistificazioni del centrodestra per meri fini propagandistici sono inaccettabili. Davanti ai diritti delle nuove generazioni non ci sono priorità di serie A e B». Di un provvedimento «tanto atteso da un milione di ragazzi, quanto osteggiato da una destra propagandistica» parla pure il capogruppo di Leu alla Camera Federico Fornaro, chiedendo alle forze politiche di non «tradire le aspettative» di tutti quei giovani. Alla Camera i numeri non mancano: con Julia Unterberger si è molto esposto a favore della legge il gruppo delle Autonomie, dicono «sì» anche gli ex 5s "di sinistra" e Italia viva, che però chiede «dialogo» in vista della tempesta che si annuncia al Senato.

La mediazione dei moderati di Fi e dei "centristi"

Alla Camera, dove Forza Italia ha una folta pattuglia "moderata", sono state avanzate proposte di compromesso in vista poi del passaggio al Senato. L’idea della deputata Annagrazia Calabria è quella di agganciare la cittadinanza alla conclusione del ciclo dell’obbligo, elementari più medie. Forze politiche che pure voterebbero lo Ius scholae, ma che ne temono la bocciatura al Senato, guardano con interesse a eventuali mediazioni. Tra queste forze Italia viva, ma anche la neonata Insieme per il futuro di Luigi Di Maio, che avverte i due poli: «No a bandierine e no a picconate al governo».

La Cei: una riforma che rispecchia la realtà

In una settimana importante per il futuro della legge sulla cittadinanza ai minori stranieri, interviene nel dibattito monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente della commissione episcopale per le Migrazioni e della fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei: «La riforma – spiega il presule in un’intervista alle agenzie di stampa – va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici, per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi». Per Perego, è sbagliato mettere in contraddizione questa legge con altre priorità: «Ne parliamo da almeno quindici anni, contrapporre il caro-bollette non ha senso». La realtà, continua Perego, è «quella di un milione e quattrocentomila ragazzi, dei quali 900mila alunni delle nostre scuole, che aspettano di essere cittadini italiani». Per questo motivo, conclude, «la Chiesa italiana continuerà a sostenere questo tipo di linea che legge una realtà che già c’è, la politica deve prenderne atto».

Le norme all’estero

Lo Ius scholae si distingue e può affiancarsi ad altri criteri per l’acquisizione della cittadinanza, come lo Ius sanguinis e lo Ius soli. Il primo è attualmente in vigore in Italia: è infatti cittadino italiano per "diritto di sangue" chi nasce da almeno un genitore in possesso della cittadinanza (ad esempio da madre italiana e padre tedesco, il figlio comunque può divenire, per via materna, cittadino italiano). Invece, in base al principio dello Ius Soli, il diritto di cittadinanza si ha al momento della nascita sul territorio di un determinato Stato, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza dei genitori (ad esempio, una coppia italiana ha un figlio a Parigi, il bimbo può divenire cittadino francese). Diversi paesi europei e non (fra i quali Regno Unito, Germania e Francia) adottano varianti dello Ius soli (prevedendo cioè, oltre alla nascita sul territorio dello Stato, altre condizioni variabili da Paese a Paese). In Nord e Sud America, ad aver adottato lo Ius soli sono il Canada, gli Usa, il Brasile e molte altre nazioni, per cui capita spesso che i figli di emigrati italiani in quei Paesi abbiano doppia nazionalità (e doppio passaporto), assommando a quella ereditata dal genitore quella conseguita nascendo nello Stato estero.


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