venerdì 18 maggio 2012
In migliaia in piazza a Genova dopo l'attentato ad Adinolfi. Nel Casertano la società civile per la legalità. Monito di Bagnasco: dobbiamo far sentire tutti insieme la nostra condanna senza se e senza ma verso i facinorosi.
Sulla terra di don Diana germoglia la speranza di Antonio Maria Mira
L'ALTRO EDITORIALE Una gran notizia di Marco Tarquinio
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​Una piazza che ha le lacrime agli occhi, come quelle di Massimo Coco. Piazza De Ferrari ieri era così, avvolta di un silenzio di commozione e di paura. Il figlio del giudice ucciso dalle Br era uno dei testimoni che hanno preso la parola alla manifestazione con cui Genova ha deciso di dire no alla violenza terroristica. Una reazione timida nei numeri, forte nei toni. Tremila persone, forse. Ma tutte le forze politiche e sociali, senza distinzione di schieramento.L’appello è stato lanciato da Regione, Comune e Provincia. Tra i tanti, a dire di “no” al ritorno degli Anni di piombo, anche Carlo Castellano, che fu gambizzato dalle Br nel ’77, quando era manager all’Ansaldo. La città del lavoro e delle associazioni, insomma, ha dimostrato di avere «una sola voce e un solo cuore» come ha esortato a fare, sempre ieri, il cardinale Angelo Bagnasco, incontrando i sindacati e chiedendo a tutti di schierarsi «senza se e senza ma» contro il terrorismo dei «facinorosi, pochi o tanti che siano».La voce della Chiesa è risuonata per prima in piazza De Ferrari. Prima del sindaco Marta Vincenzi, di Massimo Coco, delle Rsu di Ansaldo e Fincantieri, del presidente di Confindustria Giovanni Calvini, del vicepresidente del consiglio regionale Luigi Morgillo e del senatore del Terzo Polo Claudio Gustavino, è toccato a monsignor Luigi Molinari scuotere la piazza indicando tre «consapevolezze». «La violenza non costruisce ma distrugge; per combatterla deve crescere la coesione sociale e dobbiamo investire affinché cresca – ha detto il delegato diocesano per il Lavoro –; c’è la determinazione ferrea della Chiesa genovese e dei suoi cappellani ad essere sempre più presenti nel mondo del lavoro, soprattutto ora che si trova ad affrontare difficoltà molto gravi che vanno a incidere sull’interesse nazionale». Una chiosa che dice quanto la questione Ansaldo sia al centro dell’attenzione della Chiesa genovese, la quale mantiene da settant’anni un legame forte con le fabbriche attraverso i cappellani del lavoro.Ad ascoltare le parole di monsignor Molinari c’era anche un mondo politico genovese fortemente scosso dall’attentato a Roberto Adinolfi. «Negli Anni di piombo – spiega il governatore ligure Claudio Burlando – il Pci aveva 45mila iscritti in questa città, oggi il Pd ne ha 4.000. Nel porto lavoravano 8mila camalli, che oggi sono un migliaio. Allora un gruppo di facinorosi sarebbe stato individuato in tempo e probabilmente fermato dai lavoratori, che hanno contribuito a sconfiggere le Br. Oggi lo scenario è completamente diverso ed è diverso anche il terrorismo». Concludendo la manifestazione, il vicepresidente della Camera, Rosy Bindi ha escluso che «questa guerra si possa combattere con le armi» e ha commentato: «Io non userei l’esercito, ma la partecipazione della gente e l’intelligence». Secondo la Bindi, bisogna comunque «distinguere le manifestazioni di disagio sociale, di dissenso anche forti, dalla violenza organizzata e dal terrorismo, anche quando non ci piacciono. La democrazia è fatta anche di questo». Genova è una città in cui la presenza dei centri sociali è forte e proprio da quegli ambienti sono giunti segnali di dissociazione dall’attentato, che secondo Burlando sono «un fatto positivo».
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