martedì 26 maggio 2009
Cala il patrimonio delle famiglie, le famiglie riducono i consumi, diventa più difficile l"accesso al credito per le imprese e dilaga l'incertezza fra gli operatori. Così l'Istat nel Rapporto Annuale fotografa il 2008, un anno di crisi che, "a partire dall'autunno", ha trascinato "tutte le economie avanzate in una fase di forte contrazione dell'attività".
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La recessione è lunga e forse ne stiamo intravedendo l’uscita, ma saranno i suoi effetti sul lavoro quelli più difficili da smaltire. Nel 2008, per la prima volta dopo 13 anni, la crescita dei disoccupati ha superato (di 3mila unità) quella degli occupati; e a fine anno le persone in cerca di lavoro (1,7 milioni) erano più che nel 2006. Sono solo due dati, forse i più eclatanti, della miriade di realtà descritte nel Rapporto annuale dell’Istat. Un documento statistico che, in quanto tale, si limita a fotografare delle situazioni. Come appunto quella della disoccupazione, tornata a crescere già nel 2008 aggredendo sempre più i capi-famiglia di mezza età, residenti al Centro-Nord. La crisi riduce i posti di lavoro ma, come ha detto nella presentazione il presidente Luigi Biggeri, è anche «un’occasione per rilanciare lo sviluppo»: e così fra i dati più recenti balza fuori che, nonostante la caduta generale dell’export, nei primi 2 mesi del 2009 quasi il 29% (circa 6.500) delle imprese che esportano ha accresciuto le vendite all’estero rispetto a un anno prima. E viene fuori pure che il "piano casa" (anche se l’Istat non lo nomina mai) vagheggiato da Berlusconi non è una priorità: dal 1995 al 2006 i Comuni hanno rilasciato permessi di costruire per una media di 22,3 metri cubi all’anno per ogni italiano.La crisi si ripercuote sulle famiglie. Il venir meno di un reddito causa povertà. Specie fra le famiglie: dopo essere calate dal 2004 in poi, quelle in cui non lavora nessuno sono balzate repentinamente a quota 530mila. E sono 617mila i nuclei in cui l’unico a guadagnare è un dipendente part-time che riceve in media 700 euro al mese. Nel complesso, le famiglie con un solo occupato sono più di 8 milioni e la situazione è critica specie per quelle con figli: oltre la metà dell’incremento nel 2008 dei disoccupati maschi è in questa tipologia di nuclei.Una persona su 5 "economicamente vulnerabile". Va poi considerato che la crisi incide su una situazione che già presentava lati deboli. Qui il discorso è duplice: l’Istat sostiene che il reddito medio delle famiglie italiane è in linea con la media europea (e nella presentazione non è mancata una vena polemica contro l’Ocse, che presenterebbe statistiche con numeri non esattamente paragonabili fra di loro). Ma se si analizza poi la distribuzione del reddito viene fuori che un italiano su 5 è a rischio di "vulnerabilità economica"; un dato che ci accomuna a Grecia, Romania, Spagna e Regno Unito, a differenza del Nord Europa dove è meno forte la "polarizzazione" dei redditi. È un discorso che si trasla alle famiglie: 8 su 10 sono quelle che dichiarano (ma questo dato è riferito al 2007, quindi pre-crisi) di non avere grossi disagi economici, ma comunque non è poco quel 22,2% (oltre 5 milioni) che segnalava di avere difficoltà, anche nel pagare affitto e bollette (6,3% del totale). Per la maggior parte, si tratta di anziani che non risparmiano più o di coppie giovani alle prese con un mutuo.Focus disoccupazione. I nuovi disoccupati rispetto al 2007 sono stati 186mila. Nel 30% dei casi si tratta del licenziamento di dipendenti che, in 6 casi su 10, hanno almeno 35 anni. L’Istat segnala come «preoccupante» il calo, dall’83,3 all’82,7%, dell’occupazione fra i padri di famiglia: quelli impiegati in un "posto fisso" a tempo pieno sono 107mila in meno. E l’aumento dell’occupazione, con l’area del lavoro standard rimasta stabile, è stato trainato soprattutto dal maggior ricorso al lavoro atipico e al part-time. A fine 2008 inoltre, mentre esplodeva la cassa integrazione, si è registrata «una decisa contrazione» nell’utilizzo di lavoro interinale: - 13,4%.L’impresa che reagisce alla crisi. Il bello del nostro sistema industriale è che è «estremamente variegato», dicono all’Istat. Solo così si spiegano apparenti paradossi. Da un lato l’Italia si conferma il regno delle micro-imprese: il 95% del totale ha non più di 9 addetti, ma sono quelle sopra i 10 a realizzare i due terzi del valore aggiunto. Poi si scopre però che, del 29% d’imprese esportatrici che stanno reagendo alla crisi, un terzo sta proprio sotto i 10 addetti; e un altro terzo fra i 10 e i 49. Insomma, malgrado le micro-dimensioni siano in genere nemiche della produttività, sono quelle grandi ad aver sofferto di più la crisi. Questo perché, spiegano i tecnici, le ditte piccole evidentemente sono riuscite per prime a cambiare mercati e merci del loro export.
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