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Il sito nucleare di Isfahan - ANSA
Anche ieri Israele si è svegliata all’alba al suono delle sirene d’allarme innescate dalle ondate di missili di Teheran, intercettati in volo. E anche ieri i caccia di Tel Aviv hanno colpito l’Iran con una serie di raid sugli impianti nucleari e strutture militari. Nel mirino, in particolare, il sito atomico di Isfahan, nel centro della Repubblica islamica, dove è stata colpita la struttura per la produzione delle centrifughe necessarie per arricchire l’uranio. Dopo otto giorni, il conflitto ripete il proprio macabro copione fatto di incursioni reciproche, costate la vita già a 24 israeliani e oltre quattrocento iraniani, secondo il ministero della Sanità degli ayatollah. L’esercito di Tel Aviv sostiene di avere «drasticamente ridotto» le capacità del nemico di continuare a lanciare ordigni. Se così fosse davvero – e il calo di attacchi da parte iraniana sembrerebbe confermarlo –, si tratterebbe di una vittoria tattica.
A mancare – e questo diventa più evidente con il trascorrere del tempo – è un obiettivo della guerra al di là della «necessità di fermare la bomba sciita», invocata da Benjamin Netanyahu. Dalla Casa Bianca continuano ad arrivare segnali contraddittori da ”Trump il pacificatore”, come si è autodefinito il presidente statunitense. Su Truth si è lamentato dell’ingratitudine della comunità internazionale. «Non riceverò mai il Nobel per la Pace, qualunque cosa faccia», ha scritto, rivendicando «successi meravigliosi», in Congo, Ruanda, Eritrea, India e Pakistan. Solo quest’ultimo governo – alleato di Washington nella contesa con la filo-cinese New Delhi – ha raccolto la provocazione, affrettandosi a chiedere il riconoscimento per il tycoon.
Boutade a parte, però, The Donald non si decide. Gli Usa hanno posizionato nell’isola di Guam sei bombardieri B-2, gli unici in grado di trasportare il Gbu-57, il solo ordigno con cui è possibile raggiungere l’impianto di Fordow, cuore del programma atomico del regime. Non sono gli unici velivoli di questo tipo nella regione, ma il loro spostamento assume un connotato particolare nella crisi attuale Il leader repubblicano, però, non si decide. Qualcuno sottolinea la crescente pressione dello zoccolo duro del movimento “Make America great again”, da sempre restio a farsi coinvolgere nelle contese altrui. Il pranzo di giovedì con Steve Bannon, in questo senso, è indicativo. Sulla sponda opposta si colloca l’area neo-con dei repubblicani per cui l’Iran è occasione di rivalsa dopo gli insuccessi in Iraq e Afghanistan. Il tycoon resta in equilibrio precario fra le due parti. Nell’ultimo intervento, venerdì sera, si è limitato a screditare l’intento di dialogo avviato a Ginevra dai cosiddetti 3 E: i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia, Germania e Ue che, poche ore prima, si erano incontrati con il ministro degli Esteri, Abbas Agaghchi. Alla loro richiesta di tornare al tavolo con Washigton, l’Iran ha opposto l’urgenza di fermare prima i raid israeliani e l’indisponibilità a mettere fine al programma nucleare, ufficialmente per «uso civile».
Ieri, il presidente Masud Pezeshkian l’ha ribadito a Emmanuel Macron: «Non lo faremo in nessuna circostanza». Fin da subito, comunque, Trump aveva detto che «difficilmente gli europei potranno essere d’aiuto perché Teheran parla solo con noi». Nonostante l’offensiva israeliana e l’annullamento del negoziato in Oman, in effetti, il presidente ha proseguito, sotto traccia, i colloqui con l’Iran. Addirittura, secondo la ricostruzione di Axios, su proposta del turco Racep Tayyip Erdogan, lunedì scorso, Trump avrebbe cercato di organizzare un incontro urgente a Istanbul con l’Iran per una soluzione diplomatica
Non sarebbe, però, riuscito a contattare Ali Khamenei che, una settimana fa, ha lasciato “beit rahbari”, il suo quartier generale nel centro di Teheran, e si è nascosto in un bunker segreto per la paura di essere assassinato. La Guida suprema e i vertici del regime sa che Israele sta dando loro la caccia, non solo con le incursioni aeree. Agenti del Mossad, come ha ammesso lo stesso consigliere del Parlamento, Mahdi Mohammadi, sono riusciti a infiltrarsi nel Paese.
Gli ayatollah, dunque, sono in allerta massima. Le comunicazioni telefoniche sono state interrotte e le informazioni sono scambiate attraverso “messaggeri” fidati. Pasdaran, soprattutto, che stanno cavalcando la crisi per rafforzare le proprie posizioni. Un movimento in atto da tempo ma ora si assiste a un’accelerazione. Non a caso, Tel Aviv colpisce con particolare determinazione la Forza Quds, il corpo dell’élite dei Pasdaran. Ieri sono stati due uccisi due comandanti chiave: Saeed Izadi e Benham Shahriyari. Quest’ultimo, in particolare, era incaricato di foraggiare con armi e denaro gli eserciti proxy, a partire da Hezbollah. Secondo il capo di Stato maggiore, Eyal Zamir, sarebbe stato il “finanziatore del 7 ottobre”: a capo di una rete internazionale di riciclaggio, avrebbe dato ad Hamas centinaia di milioni di dollari. Colpiti a morte a Teheran anche il fisico atomico Seyed Asgar Hashemitaba e l’ex guardia del corpo di Hassan Nasrallah, Hussein Khalil.