giovedì 2 settembre 2010
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Basta con le mediazioni tra falchi e colombe. Le antenne di Silvio Berlusconi e di Umberto Bossi sono già sintonizzate su domenica. In attesa di quello che dirà Gianfranco Fini a Mirabello. Senza troppe illusioni: saranno parole dure. Ma «tutto il resto non ha la minima importanza», dice il presidente del Consiglio ai tanti interlocutori incontrati ieri a Palazzo Grazioli. «Aspettiamo di vedere cosa dice Fini», afferma laconico il leader della Lega al termine dell’ultimo round, al quale hanno partecipato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e Roberto Cota, i due ambasciatori leghisti in terra finiana. Nubi nerissime si addensano sul cammino del processo breve. La linea del premier è: «Avanti, senza ulteriori mediazioni». Si incarica di ribadirla Ignazio La Russa. Il ddl «è già stato votato al Senato e pensiamo di votarlo così anche alla Camera», assicura il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl. «Poi la Camera, il ministro di Giustizia possono anche valutare diversamente. L’unica cosa certa – ha aggiunto con un affondo ai finiani – è che nessuno ci può imporre trattative, soprattutto all’interno di una maggioranza che si è già impegnata». Secca la replica del capogruppo di Futuro e Libertà Italo Bocchino: «La Camera non è notaio del Senato. Il testo non può essere votato a scatola chiusa e non accettiamo un aut-aut di questo tipo». Si aggiunge la voce di Fabio Granata che parla di «amnistia mascherata». Pure l’Udc, con Pierluigi Mantini, ribadisce il suo no. «Abbiamo suggerito la via della garanzia del sereno svolgimento della funzione del premier tramite riforma costituzionale. Altri trucchi o espedienti sono impraticabili».Le posizioni tra Pdl e Fli, dunque, restano lontane. Forse, insanabili. Se sarà rottura, si vedrà. Intanto ieri è stato un vorticare di incontri nella residenza romana del premier. Mentre alle 18 arrivavano gli ultimi ospiti, usciva il ministro della Giustizia Angelino Alfano, l’uomo che ha in mano il pur sottilissimo filo del dialogo. «Non possiamo avere un pregiudizio, vediamo prima le modifiche che ci proporrà», fa sapere un finiano moderato, Silvano Moffa. Forse non sarà un caso che, prima del Guardasigilli, il presidente del Consiglio abbia incontrato il senatore Mario Baldassarri, una "colomba" tra gli uomini del presidente della Camera. Il quale conferma che il processo breve è "il" nodo da sciogliere (pur avendo puntato nel colloquio ai temi economici). «Se uno vuol colpire un passero, non deve usare il cannone». Come a dire che per tutelare il premier non si possono bloccare migliaia di processi.La linea emersa già la scorsa notte dal vertice a casa del premier prevedeva, comunque, di poter modificare la norma transitoria, modulando i termini della prescrizione per avere proprio un minore impatto sul numero di processi in corso destinati a estinguersi. Il tutto garantendo uno "scudo" al premier. Perché, spiega il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, «la situazione è paradossale». «Contro Berlusconi dal 1994 è in atto una durissima offensiva giudiziaria ad opera di settori politicizzati della magistratura», e perciò si blocca ogni proposta sulla giustizia anche se punta a «ridurre a 6 o 8 anni i tempi della durata del processo, che sarebbero già abbastanza lunghi».
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