domenica 21 ottobre 2012
Intervista a Vittorio Grilli, che conferma la disponibilità del governo a valutare in Parlamento le modifiche (sono pronti 900 milioni) e invita a riflettere sulle conseguenze che avrebbe, per il Paese, abbandonare la strada delle riforme intraprese con il governo Monti.
Intervista a Grilli: i punti principali
COMMENTA E CONDIVIDI
«La cura ha fatto effetto e camminiamo ver­so la guarigione. Ma non siamo fuori peri­colo: dobbiamo continuare con le terapie, consapevoli che la convalescenza è una fase delicata e il rischio di una ricaduta esiste sempre». Vittorio Gril­li parla dell’Italia come di un malato che finalmente è riuscito ad alzarsi dal letto. E, sorridendo leggero, lo mette in guardia: «Certo non può pensare di andare a fare il bagno nell’acqua fredda...». Sfruttiamo quel­l’immagine per una prima, inevitabile domanda al mi­nistro dell’Economia. Per capire quanto durerà la con­valescenza, quanto sarà lunga la fase dei sacrifici e del­la sofferenza. Grilli usa la stessa metafora per spiega­re che la meta è vicina: «Credo che la prossima estate sarà possibile fare il bagno. Magari vicino a riva, dove l’acqua è più tiepida e meno profonda». L’ufficio del ministro è al piano nobile del ministero del Tesoro. Grilli è vestito sportivo, al polso ha due sottili braccialetti colorati, dono dei suoi due bambini. Si par­la di una crisi che ha sconvolto il mondo e si ragiona sull’attualità stringente legata al varo (discusso) della Legge di stabilità, nel giorno della manifestazione pro­mossa dalla Cgil. Il ministro difende ancora la filoso­fia alla base del provvedimento: «Per me resta la mi­gliore – ribadisce – ed è stata messa grande attenzione all’equità. Abbiamo postato un fondo di 900 milioni su cui con il Parlamento dovrà essere decisa la precisa de­stinazione. Noi suggeriamo che sia utilizzato in modo prevalente per finalità sociali. Vi è grande attenzione del governo per le fasce deboli, per le quali una novità sicura arriverà a fine anno con il nuovo Isee». Stru­mento che, peraltro, il ministro medita di estendere in futuro anche al campo fiscale. Grilli pensa proprio a quella fascia di popolazione che più ha pagato le misure di rigore. «Ha accettato sacri­fici durissimi mantenendo la testa lucida. Bisogna di­re solo una parola: grazie». Una pausa leggera prece­de un nuovo attestato di stima all’Italia. «C’è un Paese che soffre, ma è lo stesso Paese che capisce; che di­mostra maturità, consapevolezza, anche unità: quel­lo che si è fatto è il frutto di un impegno collettivo», ri­pete Grilli che detta un ultimo messaggio: «L’Italia sa, anche per la sua tradizione cattolica, che per raggiun­gere un obiettivo si passa da momenti di sofferenza. O­ra quella sofferenza va ripagata». Il telefono cellulare del ministro squilla. Lui si allontana una manciata di minuti e quando torna a sedersi alla grande scrivania rettangolare vuole scusarsi: «Solo tre telefonate fanno passare il resto in secondo piano: quelle del capo del­lo Stato, del presidente del Consiglio e di mia figlia di tre anni». E su quella confidenza partono le domande. Ministro, la preoccupa il fatto che anche settori della maggioranza stiano mettendo in discussione l’agen­da Monti? A volte si fatica a comprendere e accettare che non sarà mai più come prima. In linea di massima sono meno preoccupato di qualche mese fa, perché ormai l’Italia ha davanti a sé un percorso già tracciato. C’è un’agen­da europea da cui derivano scelte che non potranno essere cancellate. Insomma, non c’è spazio per contro­riforme e nemmeno per chi dice «ora che i mercati so­no a posto, si può fare marcia indietro». No, non si può fare. La strada presa è giusta, i mercati ci stanno ri­dando credito, ma guai a dare l’impressione che l’Ita­lia e l’Europa possano pensare di cambiare direzione. Cambierebbero immediatamente direzione anche lo­ro, e con velocità impressionante. Lo spread è passato da 550 a 317. Dove dovrebbe ar­rivare? L’obiettivo è ricondurlo almeno ai livelli del maggio 2011 (quando era intorno a 180 punti, ndr), prima del­la crisi dei debiti sovrani. Ma io non guardo solo allo spread, guardo anche al livello assoluto dei tassi: oggi abbiamo interessi a 10 anni sotto il 5 per cento, quin­di decisamente tollerabili. Il processo dell’Unione bancaria deciso in sede Ue può favorire un ulteriore calo? Sicuramente sì. Parte delle debolezze europee è vista nella fragilità di spezzoni del settore bancario. Se sarà rimossa questa causa, i mercati non potranno non te­nerne conto. Ma ancora una volta voglio essere chia­ro: anche tra febbraio e marzo stavamo recuperando... I mercati apprezzano rigore e sacrifici, ma ci chiedo­no di non mollare. Torniamo alla politica interna. Teme la fase turbo­lenta della campagna elettorale e le incertezze sul do­po voto? Le campagne elettorali sono democrazia, ma le scelte e le parole devono tenere conto dell’attuale quadro globale. Siamo sotto osservazione. L’Europa è sotto os­servazione, e noi nell’Europa. Tutti devono capirlo. Tut­ti devono rendersi conto che quello che facciamo e di­ciamo è visto, ascoltato, pesato, valutato dal mondo. Le nostre scelte e parole vengono prese sempre sul serio e chi ha posizioni di responsabilità deve esserne co­sciente e capire che le elezioni sono fondamentali, ma il futuro del Paese dipende anche da come siamo visti. Molti anche all’estero chiedono a Monti di continua­re.Siamo al servizio del Paese fino all’ultimo giorno del­la legislatura. Poi si tornerà alle urne e qualsiasi deci­sione potrà essere presa solo tenendo conto del risul­tato elettorale. Ma insisto: c’è stato un profondo cam­bio di rotta e da lì non si torna indietro. Il percorso è tracciato e ci sono impegni presi da ogni singolo Pae­se europeo. E invece spesso il dibattito nei partiti sem­bra non tenerne conto. A volte si ragiona come se fos­simo ancora un Paese isolato, come se l’Europa non e­sistesse, come se l’economia fosse soltanto una que­stione interna. Non è così: le scelte prese sono scelte che vincolano e che vanno rispettate. La Grecia è in ginocchio: lì c’è rabbia, divisioni, scio­peri. Qui si rischia? Qui è un’altra situazione. L’Italia ha superato la fase a­cuta, ma serve ancora unità, ancora scelte condivise, ancora coesione. Perché se dovesse venire meno - e non credo che questo possa succedere - a soffrire sa­rebbero ancora i più deboli: resterebbero drammati­camente abbandonati a se stessi.Non c’è quasi un’ossessione nel guardare sempre ai mercati? Bisogna comprendere che i mercati, in fondo, non so­no delle entità esterne, avulse da tutto. In fondo sono semplicemente le scelte di noi risparmiatori che deci­diamo dove collocare i nostri risparmi. Per questo la no­stra priorità assoluta, quando siamo arrivati al gover­no, era di assicurare i mercati e per farlo dovevamo sta­bilizzare le finanze pubbliche, anche a costo di misu­re pesanti. Ma i risultati ci sono. Ne ha avuto riscontro anche ai recenti lavori del Fmi a Tokyo? Sì, c’è ora una diversa considerazione per l’Italia. D’al­tronde si è tenuto conto che anche in Paesi-simbolo co­me la Cina e il Brasile c’è stato un rallentamento, ma che ora la fase più negativa sembra essere superata. E si è molto discusso del fatto che, con la crisi dei setto­ri pubblici, sta andando in difficoltà anche tutta quel­l’economia privata che era abituata a dipendere trop­po dalla pubblica amministrazione. E se dovesse mandare un tweet all’italiano medio, co­sa gli direbbe?Che noi italiani viaggiamo molto, abbiamo gli occhi a­perti, ma non riflettiamo su quello che vediamo. Cioè che fotografiamo le differenze degli altri popoli, ma poi stentiamo a fare tesoro di queste osservazioni. Ora è il momento di ragionare, assieme al ministro, su tutti i no piovuti sulla Legge di stabilità e, in particola­re, sulle novità fiscali. Grilli sorride ancora una volta: «Il titolare dell’Economia è un po’ come una roccia, de­ve essere abituato alle critiche. Fa un po’ parte del suo lavoro. Lo schema vuole che sia quasi privo di umanità, ma così non è». Non erano facilmente prevedibili que­ste critiche?Siamo stati molto attenti nel pesare i no­stri interventi. E l’abbiamo fatto con una filosofia che continuo a ritenere la mi­gliore. Abbiamo lavorato su tre assi: la ri­duzione dell’Iva - però non di 2 punti, ma di uno solo - , la riduzione Irpef per le prime due fasce di reddito e un intervento per de­tassare i salari legati alla produttività. Di que­sto impianto si potrà ora discutere in Parla­mento. Finora ho sentito dei desideri, aspet­to gli emendamenti. Ma sull’equità ho senti­to critiche senza nessuna logica, mai sentite prima. Quali, a esempio? Lo stesso parlare di retroattività è inappropria­to. Senza esserne sempre consapevoli, quando paghiamo le imposte lo facciamo con riferimento a più anni. Nel 2013, a esempio, si paga anche il sal­do del 2012 e l’acconto del 2014. Per questo abbiamo ritenuto che si potesse agire come abbiamo fatto. Se il Parlamento vuole spostare ora sui redditi 2013 la mano­vra sugli sconti fiscali lo può fare, ma dobbiamo sape­re che ciò avrà un costo di circa un miliardo. Se guar­diamo le cifre non si può negare però, come qualcuno ha fatto, che la riduzione fiscale ci sia, e sia importan­te. Nel 2013 lo Stato darà agli italiani un contributo net­to di 6,7 miliardi: vale a dire 8,7 miliardi di minori in­troiti - 4,2 per l’Irpef, 3,3 di diminuzione dell’aumento Iva e 1,2 sui salari - meno un paio di miliardi di mino­ri detrazioni. Non rivedrebbe qualcosa? Siamo stati attenti alla sua equità. Sulle invalidità a e­sempio abbiamo fatto una riflessione, poi abbiamo con­venuto che non è questo il momento per toccarle, pur es­sendo coscienti che non tutto va per il meglio in questo campo. Abbiamo toccato le tax expenditures (appunto gli sconti fiscali, ndr), dove ci sono norme che si sono strati­ficate lungo oltre 50 anni. Anche qui, però, abbiamo dap­prima introdotto una fascia di salvaguardia fino a 15mila euro, poi tutelato le spese più sociali, come quelle medi­che - che non rientrano nel tetto complessivo dei 3mila euro - e quelle per le spese necessarie per le persone in sta­to di bisogno, incluse le badanti. Fatte queste premesse, non mi sembra assurdo il tetto dei 3mila euro perché per arri­varci devi anche avere un reddito non indifferente. Nello specifico, a quali modifiche è più favorevole? Per il Tesoro la parte imprescindibile è garantire i saldi in­variati. Perché nel 2013 non si può non raggiungere il pa­reggio di bilancio. Noi volevamo migliorare solo la qualità della strada per arrivare al pareggio, se il Parlamento vuol calibrare diversamente le singole voci va bene. Nel ddl pe­raltro, come detto prima, c’è anche a disposizione un fon­do da 900 milioni che abbiamo pensato per fini sociali, dal­la carta acquisti a misure per i giovani e per la ricostruzio­ne de L’Aquila. Sarà il Parlamento a decidere la destina­zione. Tutti, però, si attendevano ormai il mancato aumento del­l’Iva. A parte che era stato deciso dal governo precedente, va det­to che il fisco che abbiamo in mente è quello in cui sono ridotte le imposte dirette e tenute relativamente alte le im­poste indirette, che è poi l’indirizzo consigliato anche a li­vello internazionale da Ocse e Fmi. Se si riduce l’Iva, chi ne beneficia di più? chi va al mercato o chi si compra l’auto di lusso? Dell’Iva ridotta beneficia di più chi spende di più. Questa manovra ha riproposto ancora una volta il nodo degli incapienti, quanti guadagnano così poco da non be­neficiare delle nuove norme fiscali. Non si riuscirà mai ad affrontarlo? La soluzione non può passare attraverso il fisco, che in que­sti campi è un’arma spuntata. Per gli interventi sociali bi­sogna rivedere le modalità e pensare a politiche attive con un loro bilancio, che poggino su strumenti più precisi. A quali strumenti pensa? Noi abbiamo già valorizzato la carta acquisti, riconoscen­do che ci sono altrimenti cittadini non intercettati dal ra­dar dell’azione pubblica, e tirato fuori dal frigo l’Isee (l’In­dicatore di situazione economica equivalente, ndr ). Entro fine anno avremo il nuovo indicatore, che il ministero del Welfare potrà usare per le sue azioni di spesa. Ma la mia i­dea è di passare all’Isee, che è più preciso nel fotografare la situazione di una famiglia rispetto alle fasce di reddito, anche per definire le soglie di detrazioni e deduzioni, una sorta di 'Iseef' ai fini fiscali. Per farlo ci vuole però un suo ulteriore affinamento e la facoltà di verifiche quasi in au­tomatico, per evitare che ci siano abusi. Ma è una discus­sione che va fatta. Molte proteste ha sollevato anche la decisione di ritocca­re dal 4 al 10 per cento (per ora) l’Iva per il non profit. Ci risulta che da Bruxelles sia giunta solo una richiesta di chiarimenti. Non è così. Sull’Iva per il sociale ci sono pochi margini. Le risposte che abbiamo già consegnato all’Ue non bastano a evitare una procedura d’infrazione. Contro le quali, pe­raltro, il ministro Moavero sta conducendo un’azione me­ritoria. Anche perché non possiamo permetterci ulteriori sanzioni che aggraverebbero il bilancio pubblico. In ogni occasione lei ha ribadito il no alla patrimoniale. Non sarebbe una misura da adottare, invece, per una mag­giore equità? Ormai le parole vengono usate come etichette o come ma­cigni. Io sono invece per levare di torno gli slogan. Abbia­mo riconosciuto all’inizio del nostro mandato che c’era un’asimmetria nella tassazione italiana, accentrata sul red­dito e sguarnita sul fronte del patrimonio. Per questo ab­biamo messo l’Imu sugli immobili e rafforzato l’imposta di bollo sugli strumenti finanziari, introducendo uno sche­ma di fondo che amplia la base imponibile. Su questo sche­ma, se qualcuno vorrà aumentare poi le aliquote, sarà li­bero di farlo. Il ddl stabilità contiene anche la novità dell’anticipo del­la Tobin tax. Non sarà, alla fine, una tassa in più per il pic­colo investitore? Chiariamo: l’investitore di lungo periodo, il classico "cas­settista", noi lo vogliamo incentivare. Non ha nulla da te­mere dal Financial transaction act (la Tobin tax, ndr ). La tas­sa colpirà solo ogni volta che si compra e si vende, quindi chi lo fa molto frequentemente, soprattutto gli speculato­ri. E questo era anche l’intendimento di James Tobin, al cui fianco ho lavorato a Yale. Chi sta facendo una campagna preventiva contro, vuole mettere paura, forse per difende­re altri interessi, ma troverà una strada in salita. Tanto più che questa è ormai una decisione presa anche in sede Ue. Anche l’ex premier Berlusconi è tornato di recente a par­lare di politica economica, invitando a non seguire solo la linea del rigore. È un parere condivisibile? Lo è, ma va inserito nel contesto dei "paletti" fissati dalla Ue. Il presidente Monti fin dall’inizio ha insistito in Euro­pa per una golden rule dal significato preciso: sì a finan­ziare in deficit le infrastrutture, massima rigidità invece sulla spesa corrente. Nella Ue è stata usata finora un’acce­zione un po’ troppo tedesca, per così dire. Ma noi non mol­liamo, perché vogliamo di più: più libertà sui progetti na­zionali d’investimento. E riproporremo il tema a ogni ver­tice europeo. Ci sarà un Ecofin straordinario a fine mese? Potrebbe esserci. D’altronde non sarebbe nemmeno così straordinario, viste le emergenze che ci sono in Europa. Altre critiche ha sollevato il possibile ritorno del Tesoro nel settore creditizio, con gli aiuti al Monte dei Paschi di Sie­na. Sono opportuni in questa fase di sacrifici per gli ita­liani? Noi non abbiamo assolutamente una politica di ritorno del Tesoro nel settore creditizio. Noi abbiamo soltanto mes­so a disposizione strumenti per rafforzare il patrimonio, co­me l’Europa ci chiede attraverso l’Eba. Sono prestiti dati in via temporanea, che Mps dovrà rimborsare. Ma non c’è nulla di "specifico italiano" in questa soluzione. Stiamo so­lo seguendo l’agenda europea. È rimasto sorpreso dai livelli di corruzione e di spreco nel pubblico portati alla luce dalle ultime vicende? Anch’io mi sorprendo sempre degli episodi di corruzione. Mi stupisco di persone che dicono d’impegnarsi per il be­ne pubblico e seguono poi illegittimamente interessi pri­vati. Il discorso è diverso per gli sprechi, perché ovunque nel mondo le pubbliche amministrazioni non sempre so­no state disegnate avendo come obiettivo l’ottimizzazio­ne dei costi. L’aspetto più grave da noi è la mancanza d’informazioni messe in comune dalle singole ammini­strazioni. Sono tutti mondi che non comunicano. È un fe­nomeno a me chiaro sin dal 1994, quando entrai al Teso­ro, ma che nessun governo è mai riuscito a cambiare. Io penso che in un anno si possono uniformare i criteri di contabilizzazione, che è la pre-condizione per fare bene le cose e far dimagrire un apparato statale arrivato a costare il 50 per cento del reddito nazionale annuo. Decisamente troppo. Patto di produttività: preoccupa una mancata intesa? Penso che tutti gli italiani debbono essere convinti che ab­biamo un problema serio di competitività. Sappiamo che il "sistema-Italia" non agevola le aziende e ci stiamo im­pegnando per invertire la rotta con le riforme strutturali che abbiamo già introdotto. L’altra parte del problema, però, è tutta interna alle imprese. Qui serve una presa di coscien­za delle parti sociali. Monti ha voluto un tavolo proprio per creare questa consapevolezza. Di più: i risultati della spe­rimentazione condotta in passato hanno mostrato che non è stata efficace per migliorare la produttività, sono serviti solo a ridurre in parte il cuneo fiscale. Come governo, noi siamo desiderosi che un accordo sia raggiunto. E ottimisti che le parti ce la faranno. Se invece non ci sarà alcuna in­tesa, sono convinto che governo e Parlamento avranno so­lo l’imbarazzo della scelta su come destinare il miliardo e 600 milioni che abbiamo destinato per questo capitolo. L’intervista è finita. Grilli beve il primo bicchiere di mine­rale e pesca nella memoria le tappe della sua vita. Gli studi negli Stati Uniti, l’insegnamento nell’università di Yale pri­ma e di Londra dopo. Ma anche gli anni dell’adolescenza a Milano. Le medie dai salesiani, il liceo al Gonzaga, poi la Boc­coni. «La scuola cattolica mi ha lasciato ricordi importan­ti e ora anche la mia bambina va all’asilo dalle suore», con­fida. Poi, sulla porta dell’ufficio, accetta di riflettere anche sui casi Finmeccanica e Ponzellini. Ministro, prova disagio a parlarne? «Sì, provo disagio perché è complicato parlare di cose false. Sono palesi non verità. E questo è dimostrato anche dall’audit interno di Finmeccanica: non ci sono sta­te consulenze assegnate alla mia ex moglie». Il ministro si alza, poi ripete le ultime parole: «Una palese falsità. Mi ri­corda l’aria rossiniana della calunnia. Speravo che da Ros­sini a oggi in Italia i tempi fossero cambiati ma - ahimè - ­non è così».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: