giovedì 16 febbraio 2012
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​«L’Agenzia? Il Terzo settore avrebbe bisogno di una Authority. Purtroppo nel dubbio fra lasciarla com’era e farla crescere, si è scelto di farla sparire. E questo è un problema, perché il Terzo settore ha bisogno di luoghi di riferimento». Marco Morganti, Ad di Banca Prossima, l’istituto del gruppo Intesa Sanpaolo dedicato al mondo del Non profit, con 17.500 clienti (+5mila nel 2011), un miliardo e cento milioni di credito erogato e 4,5 miliardi di masse intermediate, non ha dubbi. E di fronte alla prospettiva data dal ministro del Welfare, Elsa Fornero, di chiudere l’Agenzia del Terzo Settore, pronuncia il suo «non ci sto».Il ministro Fornero la pensa diversamente...Se fosse un taglio da acceso a spento sarebbe un disastro. Se fosse un ridimensionamento, sarebbe comunque un sacrifico di efficienza ed efficacia, visto che l’Agenzia non ha centinaia di dipendenti o strutture milionarie. In ogni caso si tratta di una decisione da meditare accuratamente. Da anni, prima con Ornaghi e poi con Zamagni, l’Agenzia si è guadagnata un ruolo riconosciuto. Bisogna andare avanti, non indietro. E la strada è quella indicata da Zamagni: l’Authority».C’è chi sostiene, invece, che basta il Forum per il Terzo Settore…Sono due cose diverse. Il Forum è un luogo d’incontro, è un organo di rappresentanza. L’Agenzia guarda al Terzo settore «dall’alto», specialista nella definizione di alcuni aspetti fondamentali, come l’aderenza o meno a certe regole sui bilanci, ai processi amministrativi o di governance. Su questo terreno si gioca la metamorfosi, non più rinviabile, del Non profit.A cosa si riferisce?Il Terzo settore si relaziona con 35 milioni di cittadini. Se questo soggetto deve svolgere funzioni di sussidiarietà, è necessario che sia non tanto e non solo regolato, ma ottimizzato. E da chi può partire l’auspicato e necessario efficientamento del settore se non da una Authority? L’Agenzia ha fatto molto in tema di bilanci e di illeciti. Ma l’Authority sarebbe più forte: meno moral suasion e più disposizioni.Se dico «professionalizzazione», lei cosa risponde?Benvenuta! L’aspetto nobile dell’impegno volontaristico non giustifica l’inefficienza e l’approssimazione. Anche Benedetto XVI l’ha detto con chiarezza nella Deus Caritas Est: le Caritas devono diventare più professionali. Tutto il Terzo settore, religioso e non, non può essere esentato dai criteri di efficienza per esempio nell’acquisto di beni e di servizi. Il salto di qualità può avvenire solo con la managerialità, l’efficienza nella gestione e nella capacità di raccolta fondi.Con Banca Prossima ha il polso del Terzo settore. Come lo vede?È l’unico segmento dell’economia che ha creato posti di lavori in questi anni. E non ha avuto la mortalità di imprese che c’è stata in altri settori. E poi ci troviamo davanti a un mondo che onora gli impegni.Quali sono i suoi punti di forza?Ce ne sono tre materiali e uno immateriale. Innanzitutto lavora su bisogni primari. Che non sono solo quelli legati alla sopravvivenza, ma anche la passione per musica classica, per l’ambiente o un certo modo di fare turismo. Bisogni che vengono attaccati per ultimi dalla crisi. Secondo: la non delocalizzazione dei servizi offerti. A differenza di altri settori, fortemente attaccati dalla globalizzazione, il sociale è poco appetibile dalla concorrenza esterna. Il terzo aspetto è il dono. I cittadini donano denaro e tempo. E non lo farebbero mai per una impresa <+corsivo>for profit<+tondo>. E poi c’è l’elemento morale: sono convinto che chi passa 20 anni a occuparsi di anziani, disabili o down, abbia uno schema valoriale che gli impedisce di fare il mestiere di amministrazione allegramente. Ma ripeto, ora bisogna fare uno sforzo verso una professionalizzazione.Quanto vale il Terzo settore?Nel complesso vale 45-50 miliardi. Una cifra importante. Per questo è necessaria una struttura di garanzia e le banche, non dico debbano seguire l’esempio di Banca Prossima, ma dedicare più attenzione a questo settore dell’economica. Anche il Paese dovrebbe capirlo…Certo, il problema è generale. Se guardiamo da vicino quattro classi di intervento del Terzo settore – famiglia, anziani, housing, non autosufficienti – se la spesa pro capite dell’Italia fosse in linea con la media Ue, i 45 miliardi di valore li raddoppieremmo <+corsivo>d’emblée<+tondo>. La media Ue di spesa pro capite per l’housing è di 126 euro, da noi 6 euro. Se spendiamo così poco, non deve sorprendere che ci troviamo con grandi problemi abitativi. E c’è anche un altro aspetto: quando si costruisce uno "scatolone" di cemento, è fondamentale che il Terzo settore sia un presidio che lo mantenga bello ed eviti il degrado che trasforma la spesa in antieconomica e socialmente errata. Dobbiamo andare verso la sostenibilità. E il terzo settore è un mediatore, un produttore di sostenibilità. Parliamo di questo. Non di chiudere l’Agenzia.
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