giovedì 29 settembre 2011
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​«La medicina non è una scienza esatta, ma una scienza sperimentale. Le conoscenze in medicina procedono per passi successivi, e spesso non danno certezze». La premessa del ministro della Salute Ferruccio Fazio va tenuta presente nella sua disamina del caso dei neonati entrati in contatto con il batterio della tubercolosi (Tbc) al reparto di Neonatologia del Policlinico Gemelli. «È stato eseguito un test diagnostico molto sensibile, che ha dato molte positività, ed è stata una scelta condivisibile. Ma non si deve creare allarmismo ingiustificato – sottolinea ancora il ministro – perché non c’è alcuna epidemia di Tbc. Gli errori sono stati solo di comunicazione».

La Tbc al Gemelli ha riportato all’attenzione la paura delle malattie infettive. Lei stesso ha detto che positività al test non significa malattia. Possiamo spiegare le differenze? La prevenzione e il controllo della Tbc sono basati sulla sorveglianza della malattia acuta e il riconoscimento dei contatti avuti dal malato. Nell’infanzia, quando si hanno pochi anticorpi, teoricamente si dovrebbe suggerire la profilassi a tutti quelli che sono entrati in contatto con il malato. Al Gemelli, prima di eseguire 1700 profilassi, quanti sono i neonati, con la certezza che pochissimi erano stati infettati, è stata fatta la scelta di fare un test molto sensibile (il quantiferon, ancora sotto valutazione), che probabilmente avrebbe dato falsi positivi, ma permetteva di ridurre il numero dei bambini da sottoporre a profilassi. Infatti il test riconosciuto nelle linee guida di tutto il mondo è quello della tubercolina, la Mantoux. Che però può risultare negativa quando il soggetto, e specie il bambino, è appena entrato in contatto con il bacillo. La scelta del Gemelli è stata giustificata, e a posteriori l’abbiamo giudicata corretta, ma non rientra nelle linee guida. Detto questo, la positività al test tubercolinico significa che una persona è entrata in contatto con il batterio, che è entrato nell’organismo. La probabilità che sviluppi malattia franca chi ha il test positivo è circa il 10%: per la metà di questi avviene entro 2-5 anni. Più si va avanti con gli anni, e meno diventa probabile, anche se ad ammalarsi non è di solito la persona giovane e sana, ma l’anziano o chi ha le difese immunitarie ridotte.

Molti interrogativi sono stati sollevati sui controlli al personale sanitario. E si continua a parlare di epidemia. Quando occorre preoccuparsi? Dovremmo preoccuparci se ci fosse un aumento verticale di malati di Tbc, ma non c’è, come non c’è un aumento verticale di positività. Poiché il grosso delle persone positive al test hanno contratto il batterio da più di 2-5 anni, non possiamo parlare di epidemia: il loro numero (oltre 7 milioni, il 12% della popolazione) resta stabile. Mentre di tubercolosi franca in Italia si registrano 7 casi ogni 100mila abitanti: 4200 persone l’anno, di cui fanno parte l’infermiera e la bambina. E’ chiaro che a una persona col test positivo (che dovrebbe comunque fare una lastra) si dice: se sviluppi dei sintomi (tosse, febbriciattola, eccetera), devi essere controllato e fare una radiografia. Al Gemelli c’è stato un episodio di tubercolosi in una corsia neonatale: è solo il quarto caso al mondo. I tre precedenti (Giappone, Canada, Stati Uniti) avevano fatto registrare meno casi, anche se non sono stati seguiti accuratamente come da noi. Questo ci porta a rivedere alcune linee guida, e a inserire le Neonatologie tra i reparti in cui il personale sanitario deve essere sottoposto a controlli in modo particolare. Ma il concetto di controlli periodici è quello che dicevo prima: sorveglianza della malattia, in particolare se con test positivo. Quello che è avvenuto di negativo - e va ammesso - è stata una non ottimale comunicazione, soprattutto verso i parenti dei bambini.

Nelle notizie sul caso Tbc al Gemelli si stenta a distinguere la richiesta di accertamento della verità dall’intenzione di trovare un colpevole. Non si rischia di favorire la medicina difensiva? Noi siamo preoccupatissimi per questo aspetto, per gli avvocati che stimolano le cause, per chi comunque soffia sul fuoco. Mentre da un lato rispettiamo moltissimo il ruolo delle associazioni a difesa dei pazienti, dall’altro ci continuiamo ad augurare che nell’ambito delle loro attività non inducano allarmismi fuori luogo. Per quanto riguarda il farmaco della prevenzione (isoniazide), si sa che può avere effetti collaterali sul fegato, peraltro meno facili nei bambini. Tuttavia credo che anche le vitamine che si devono prendere in accompagnamento dovrebbero essere fornite gratis dalla Regione.

Nonostante il timore delle malattie infettive, continua a esserci diffidenza nei confronti delle vaccinazioni. Come si spiega? La vaccinazione è vittima del proprio successo, come dicono gli infettivologi. Infatti grazie alla vaccinazione si sono eradicate una serie di malattie che spaventavano moltissimo: di tetano, poliomielite, difterite, la gente moriva. L’attuale calo di popolarità è dovuto al fatto che non c’è più la percezione del rischio delle malattie infettive. Ma se si comincia a non vaccinarsi, ritornano. Quindi è molto pericolosa la ridotta percezione del rischio ed è la causa per esempio della recrudescenza degli Hiv positivi: siccome con gli antiretrovirali si stabilizza l’Aids e si muore di meno, cala la percezione del rischio e le precauzioni che vengono prese.

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