mercoledì 14 giugno 2023
«Ha aperto ai partiti personali e all’antipolitica, come la “popolocrazia” del M5s e il taglio dei parlamentari, e Forza Italia è stato un partito autocratico. Ma lui era un vero democratico».
(da sinistra) Bobo Craxi, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi

(da sinistra) Bobo Craxi, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi - Web

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«La storia darà un giudizio compiuto e - penso - lusinghiero su Berlusconi. Una grande personalità, dimostrata nei diversi campi in cui è stato impegnato». Bobo Craxi ha scelto sempre l’altra parte del campo politico, «da socialista, da figlio del segretario socialista non potevo che stare a sinistra», dice oggi. Ma il fondatore di Forza Italia è stato grande amico di suo padre, come emerse in modo chiaro già nel 1990, quando nel governo Andreotti la Dc si spaccò a seguito dell’approvazione della “legge Mammì”.

Si disse che quella legge era un favore all’amico di Craxi.

De Mita diceva che Berlusconi faceva il socialista a Milano e il democristiano a Roma. Ma quella legge non fece altro che normare una anomalia: Berlusconi aveva già messo assieme le reti di proprietà.

Così si ratificò un duopolio.

Nessuno gli aveva regalato niente. Ed era impensabile non garantire la sopravvivenza a una realtà che aveva riorganizzato il sistema radiotelevisivo. La vera resistenza nella Dc veniva dalla sinistra, che deteneva ancora il controllo del servizio pubblico attraverso Agnes, vedeva in Berlusconi una minaccia al monopolio Rai e temeva che i socialisti, con un Pci ormai indebolito, potessero guidare un’alternativa.

Ma intanto stava per abbattersi sul sistema politico il ciclone Mani pulite.

Lo schema si rovesciò. Annichilita la politica, lo scontro si spostò fra gruppi economici: Berlusconi da un lato, De Benedetti dall’altro. La politica sparì, da un lato le reti private - gruppo Fininvest e Telemontecarlo -, dall’altro il servizio pubblico affidato ai “professori”. Un capitalismo sostanzialmente assistito, che aveva poco approfittato delle condizioni favorevoli dal 1982 al 1988, spaventato dall’avvento futuro della moneta unica capisce che deve fare a meno della politica. Si iniziano a indebolire i sindacati, poi si passa ai partiti. La prova generale è il referendum di Mario Segni sulla preferenza unica: proposta non di grande importanza, credo anche incostituzionale, segno però di una ventata anglosassone sul nostro sistema. E fu in quel momento che gli eredi del Pci, per superare il trauma della caduta dei regimi comunisti, decidono di cavalcare l’onda.

È il quadro in cui suo padre si trova a difendersi.

Non nego le degenerazioni che c’erano, ma anziché provare a correggerle esse furono utilizzate per dar vita a un vero e proprio golpe giudiziario, che trovò in una parte della politica una sponda moralistica e giustizialista.

Con suo padre ad Hammamet, Berlusconi matura la discesa in campo. Una nuova opportunità per lui o una necessità?

Era preoccupato dall’onda giustizialista e non si sentiva garantito dalle forze rimaste in campo. Così accadde che il pentapartito trovò in lui una zattera su cui salire. Una parte del mondo cattolico lo preferì alla aggregazione Segni-Martinazzoli, la destra trovò un ricovero che la legittimò e anche il secessionismo padano vide in lui un alleato scomodo, ma utile. Rappresentò il nuovo e il vecchio insieme.

Ma qual era il disegno?

Non c’era una vera prospettiva all’inizio, a mio avviso. C’era l’idea di arginare l’esito rivoluzionario e tendenzialmente eversivo di quell’inchiesta e infatti provò anche a coinvolgere nel governo, come è noto, Antonio Di Pietro.

Non pensò che quella “zattera” era il posto giusto anche per lei?

Tornando dall’esilio tunisino organizzammo un nucleo di “resistenza socialista”. In quel quadro io e Chiara Moroni (la figlia del deputato socialista Sergio che si tolse la vita durante Mani pulite, ndr) accettammo l’alleanza con la Casa delle libertà. Ma io sono sempre stato convinto che il socialismo non sarebbe potuto rinascere a destra.

Berlusconi divisivo, anche dentro la famiglia Craxi?

Io ruppi sulla guerra in Iraq, ero contrario e mi costò anche un litigio con Gianni De Michelis. Ma non discuto mai le scelte degli altri, difendo solo la mia, dettata da un sentimento di natura politica.

Berlusconi politico non la convinceva?

Ha aperto la strada ai partiti personali e all’antipolitica con varie degenerazioni, come la “popolocrazia” del M5s. Il prodotto peggiore di tutti è stato il taglio dei parlamentari. Il suo invece è stato un partito autocratico, i suoi gruppi parlamentari li possiamo paragonare a un ordine cavalleresco. Ciò non toglie che fosse un vero democratico. Aveva conosciuto il fascismo, la guerra, le leggi razziali ed era sinceramente contrario.

Sta dicendo che, avendo avuto a lungo a capo del governo un uomo solo al comando, in fondo ci è andata bene?
Le degenerazioni delle correnti nei partiti hanno prodotto risultati anche peggiori. Berlusconi è stato il prodotto della crisi della politica. E sono convinto che se fosse andato alla presidenza della Repubblica con l’elezione diretta, sarebbe stato un buon presidente.

Generoso per alcuni, per altri difendeva solo i suoi interessi. Lei come lo descrive?

Era così. Persino le sue cadute di stile, anche lo stupore che suscitano certe vicende di cui è stato accusato essendo lui un uomo di Stato, portano ala luce la sua fragilità, la solitudine del possidente accanto alla percezione che l’accumulazione non è tutto nella vita. Alla fine ci lascia, a partire dal ruolo svolto nello sport e nello spettacolo, un’idea di generosità e di sincerità che debbono riconoscergli un po’ tutti, amici e avversari.

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