giovedì 21 ottobre 2021
Il comandante dei carabinieri del Ros, generale Pasquale Angelosanto, analizza le minacce portate da eversione e mafie
Il comandante dei Ros Angelosanto

Il comandante dei Ros Angelosanto - .

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La fibrillazione delle piazze, in questa fase di proteste no pass, va monitorata attentamente. Gruppi di estrema destra come Forza Nuova, da un lato, e frange anarchico-insurrezionaliste dall’altro, con motivazioni ideologiche diverse si contendono la strumentalizzazione della protesta, per portarla verso una deriva violenta che darebbe loro più visibilità e consenso. L’assalto alla sede della Cgil è un fatto gravissimo, che riporta l’Italia indietro di decenni...».

Il comandante dei carabinieri del Ros Pasquale Angelosanto è un uomo di analisi e, insieme, d’azione. Affronta ogni problema miscelando pragmatismo e intuizioni, come quando, da giovane ufficiale a Castello di Cisterna, riuscì a scovare il superlatitante di camorra Carmine Alfieri. Classe 1958, originario del Frusinate, Angelosanto è entrato nell’Arma nel 1979 e dopo molti incarichi operativi, dal 2017 comanda i super investigatori del Ros, col grado di generale di divisione. Dai fatti emersi nelle ultime indagini, trae spunto per analizzare, in questo colloquio con Avvenire, quanto sta avvenendo nel ventre dei gruppi criminali e sul fronte del terrorismo.

Col Pnrr, arriveranno in Italia miliardi di fondi Ue. Il governo ha promesso massima vigilanza per evitare che le mafie ne beneficino. Un compito arduo?
La nostra attenzione è massima. Arriveranno miliardi, ma noi siamo attrezzati per vigilare su dove finiranno. Con anni di indagini, abbiamo ricostruito le reti mafiose e i modus operandi.

E quali sono?
Le mafie, quella calabrese è maestra in questo, avvicinano imprenditori in difficoltà per appropriarsi delle loro relazioni sociali e li usano come "cinghia di trasmissione" con gli enti locali, dove arrivano i fondi. Ciò fa capire come la prima barriera anti infiltrazione debba essere costituita dagli imprenditori, che non debbono accettare offerte d’aiuto o denaro sporco dai mafiosi. Se li accettano, non ne usciranno più. Detto questo, si può essere moderatamente ottimisti.

Perché?
Perché abbiamo strumenti legislativi e d’indagine penetranti. Perché gli imprenditori collusi sono una minoranza. E perché è sempre più chiaro quali rischi si corrano ad accettare l’abbraccio mortale dei boss.

A proposito di boss, in un elenco dei super ricercati del Viminale sempre più scarno, resta in testa sempre Matteo Messina Denaro.
Non amo i proclami. Dico solo che prosegue senza sosta il lavoro investigativo di tutte le forze di polizia per indebolire la struttura che copre la sua latitanza. In 10 anni, abbiamo arrestato 150 associati che gli facevano da rete di sostegno e sequestrato beni per centinaia di milioni di euro alle cosche del Trapanese. Continuiamo su questa strada...

Il lockdown, rallentando le attività economiche, ha indebolito pure le mafie?
No, le ha solo costrette a riorganizzarsi, a comunicare con cellulari non intercettabili, a spostarsi sulle criptovalute per transazioni non tracciabili via web. Ma ’ndrangheta, camorra e cosa nostra restano in rapporti con imprenditori e P.A. E sfruttano quelle relazioni per infiltrare enti locali o asl e provare a drenare risorse. In un’indagine, è emerso come la cosca calabrese dei Piromalli, che controllava settori cruciali della sanità in provincia di Reggio Calabria da prima della pandemia, abbia ricevuto nuova linfa nella fase pandemica.

In un Paese con gli omicidi in calo, restano zone come il Foggiano o il Napoletano, dove le mafie sparano ancora. A Caivano, ad esempio, si rischia una guerra di camorra?
Su quelle aree abbiamo gli occhi puntati, insieme ai reparti territoriali dell’Arma. Siamo attenti ai fatti che accadono e cerchiamo di analizzarli per prendere contromisure.

Sul fronte del terrorismo jihadista, la situazione in Afghanistan aumenta la minaccia per l’Europa e per l’Italia?
Complica ancor più il quadro, in un contesto che vede l’Isis e al Qaeda in competizione. Per di più, da maxi-attentati (come a Madrid o Londra) si è passati ad azioni di lupi solitari, che si indottrinano via web e agiscono con armi improvvisate.

Come il 25enne somalo che ha accoltellato un deputato inglese?
Sì, purtroppo. Sono attentati a "prevedibilità zero", difficilissimi da prevenire perché la loro preparazione dura poco: si trova un coltello o un’altra arma e si sceglie un obiettivo simbolico ma indifeso. Perciò la nostra attenzione si deve focalizzare sul "prima": il processo di radicalizzazione, che può durare giorni o mesi. Se siamo capaci di intercettare quella fase, sia monitorando il web che attenzionando soggetti ritenuti a rischio, possiamo agire prima dell’attentato, con misure già rodate come le espulsioni.

DA SAPERE

La prima intuizione, negli anni di piombo, arrivò dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che nel 1974 costituì un nucleo speciale di militari dell’Arma per indagare sui gruppi terroristici che insanguinavano l’Italia. Tre lustri dopo, il 3 dicembre 1990, nasceva il Raggruppamento operativo speciale, noto con l’acronimo «Ros». Da allora, gli uomini del Ros hanno catturato superlatitanti (dal siciliano Totò Riina allo ’ndranghetista Peppe Morabito, solo per citarne due), fermato terroristi e fondamentalisti e individuato i colpevoli di efferati delitti. Dalla caserma romana accanto a Villa Ada alle articolazioni territoriali in diverse città, il Ros investiga sui gruppi criminali, italiani e stranieri. E anche durante la pandemia, non ha smesso di dar loro la caccia. Le misure di prevenzione sanitaria, tuttavia, hanno impedito di celebrare il trentennale dalla fondazione (caduto nel 2020), che verrà ricordato oggi nella Capitale, nella Scuola ufficiali Carabinieri, con una giornata di studio dal titolo "Trent’anni di promozione dei valori della Costituzione". I lavori, aperti dal comandante generale dell’ArmaTeo Luzi, si occuperanno di terrorismo interno e internazionale (col procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, il generale Giampaolo Ganzer e il dirigente di Europol Claudio Galzerano); di cosche, col procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho e il comandante dello Scico della Gdf Alessandro Barbera; e di nuove tecnologie applicate alle indagini, col procuratore aggiunto di Roma Lucia Lotti e il direttore dello Sco della Polizia Fausto Lamparelli.

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