martedì 23 maggio 2023
Per l'ex presidente della Consulta è poco praticabile il reato universale di utero in affitto, anche se si dice «perplesso» sui tentativi di cambiare l'idea costituzionale di famiglia
 Flick: «Odioso impedire di parlare. La politica riscopra il dialogo»

ANSA/STEFANO PORTA

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Si dice indignato «da cittadino e da uomo delle istituzioni», Giovanni Maria Flick, per la contestazione al Salone del libro ai danni di Eugenia Roccella, che le ha impedito di parlare. Da presidente emerito della Consulta, ed ex Guardasigillli, manifesta inoltre «perplessità» circa l’intenzione che si manifesta, a partire dal dibattito sulla maternità surrogata, di rimettere mano al concetto di famiglia così come sancito dalla Costituzione.

L’episodio cozza in modo evidente, con l’articolo 21…

Parlare ed esprimere la propria opinione è manifestare la propria identità e diversità, ciò che è essenziale in una società pluralistica e democratica. Il diritto a esprimere il proprio pensiero è fondamento della convivenza civile e della nostra democrazia e ogni forma di impedimento – sia per una censura dall’alto, sia per una contestazione dal basso – è particolarmente odiosa, qualunque siano le ragioni, giuste o sbagliate, che muovono tale censura o contestazione. Ciò vale a maggior ragione in un luogo in cui per definizione ci dovrebbe essere confronto di opinioni.

Tanto più, per come si sono svolti i fatti…

Non vorrei prendere posizione specificamente sull’episodio di Torino, non conoscendo come sono andate le cose, ma solo esprimere la mia indignazione. Il dialogo e il rispetto reciproco dovrebbero costituire il metodo della nostra democrazia, qualunque siano i contenuti che si intendono esprimere. Lo si richiede anche per raggiungere quella pari dignità sociale di cui parla l’articolo 3 della Costituzione.

Questo non aiuta a trovare soluzioni condivise su temi delicati.

Non è certo questo il clima richiesto dalla Costituzione e per la riforma di essa. La polarizzazione degli argomenti e delle soluzioni su tutti i temi sensibili è il modo peggiore per affrontarli, sottolineando sempre e soltanto da ciascuna delle parti gli aspetti che dividono e non quelli positivi che dovrebbero favorire una qualche condivisione.

Anche sulla maternità surrogata, al di là delle convergenze di principio, non si trova in concreto una strategia comune.

Anche qui registro un approccio sbagliato da entrambe le parti. Da un lato si ritiene che debba essere reato nei termini, che considero imprecisi e generici, della legge 40 sulla fecondazione assistita, dimenticando che essa può essere anche espressione di solidarietà e non solo di baratto.

È difficile però separare le due casistiche, essendoci l’interesse a non palesare scopi “commerciali”. Le inchieste di Avvenire dimostrano come sia a portata di mano l’accesso alla maternità a tutti i costi, aggirando le norme.

Questo è un altro problema. Ma non si può arrivare ad assimilare situazioni molto diverse come quelle di solidarietà e commercio, stroncando la prima per impedire il secondo. L’approccio sbagliato opposto, dicevo, è proprio quello di chi rivendica un diritto a diventare genitori sempre e comunque, mentre si dovrebbe piuttosto partire dal diritto del bambino ad avere dei genitori. Il problema del carattere omo-genitoriale o bi-genitoriale non può però giustificare una limitazione o una disuguaglianza nel trattamento del figlio, che deve essere uguale per tutti, proprio in virtù del principio della priorità dell’interesse del bambino, che va valutato caso per caso, rispetto a quello dei genitori.

La soluzione dell’utero in affitto reato universale come la giudica?

Non credo che sia una soluzione praticabile, alla luce del fatto che molti Paesi hanno norme molto diverse. Quindi una norma del genere, se introdotta, incontrerebbe in concreto molte difficoltà e complicazioni. Si pensi al rimprovero, comunque fuori luogo, del premier canadese alla nostra presidente del Consiglio in occasione del G7.

Sullo sfondo c’è l’attacco all’idea costituzionale di famiglia.

Questo dibattito apre un problema più ampio, circa l’attualità, l’adeguatezza o meno dell’istituto così come previsto dalla Costituzione, che comporterebbe una modifica sulla quale molti, e io fra questi, esprimono perplessità, per la complessità dei problemi che si verrebbero a creare.

In questo clima cambiare la Costituzione in maniera condivisa sembra un’utopia.

Invece occorrerebbe il dialogo, sulle riforme istituzionali. La Costituzione esprime dei principi fondamentali che possono essere adeguati entro certi limiti. Ma io ritengo che parlare di Costituzione non più attuale rappresenti molto spesso un alibi per non riconoscere che essa in realtà non è stata attuata dalla politica di questo Paese. Il fallimento delle Bicamerali, l’esito in gran parte negativo della riforma del titolo V malamente e frettolosamente attuata, le bocciature referendarie dei tentativi di riforma ulteriori, imporrebbero invece di procedere, facendo uso delle cautele previste dall’articolo 138, con un metodo condiviso e non utilizzando sistematicamente e strumentalmente la Costituzione per una politique politicienne di piccolo cabotaggio.


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