giovedì 23 giugno 2011
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Perplesso per l’assenza di reazioni istituzionali agli «schizzi di fango» che dalle carte dell’inchiesta P4 stanno raggiungendo Gianni Letta e diversi ministri («Ma in realtà vogliono prendere me...»), Berlusconi, seppure con poche speranze, ha dato l’ordine: blocchiamo le intercettazioni. Come? Due le ipotesi in campo, una "istituzionale" e l’altra hard. La prima: riprendere il cammino del ddl ampiamente emendato e poi bloccato a Montecitorio mentre si consumava il traumatico distacco tra Berlusconi e Fini. La seconda, in realtà minata sul nascere dai troppi rischi che si correrebbero con il Colle e con la Lega: un decreto che «subito eviti gli abusi», come dicono i colonnelli Pdl, cioè metta paletti su ciò che si può e non si può pubblicare, o almeno metta la mordacchia ai colloqui privati «che non hanno ricadute penali».A dare voce alle preoccupazioni del premier ci pensa il coordinatore Pdl Sandro Bondi: «Andando avanti così nessuno si salverà, nemmeno tra le opposizioni. È una barbarie. E lo avrei detto anche se i maggiori quotidiani italiani avessero pubblicato colloqui privati e di natura politica delle opposizioni». Un tentativo di creare consenso bipartisan in realtà di difficile realizzazione, non solo per le resistenze di Pd e Idv. Da un lato c’è la contrarietà del Colle - espressa a più riprese - circa l’uso dei decreti quando non ricorrano le condizioni di emergenza (alcuni uomini del Pdl confidano che il premier avrebbe provato ad accennare il tema durante l’incontro al Quirinale di ieri sera, ma senza esiti). Dall’altra lato c’è la Lega, che finora aveva taciuto sul caso Bisignani, nascondendo un certo imbarazzo per le «beghe romane» da giustificare con la propria base. Ieri ha preso parola con l’ex ministro alla Giustizia Roberto Castelli: «Ho sempre avuto la percezione che ci fosse un quarto potere fuori dai Palazzi, forse l’uomo-chiave era Bisignani, in questo caso trovo utili le intercettazioni». Una nuova presa di distanza dagli azzurri, che complica il progetto di rimettere mano a norme che mettano il silenziatore, se non ai pm, almeno alla stampa.L’intensa giornata parlamentare di ieri presentava un’altra grana da risolvere, però fronte Lega. Martedì circolava insistente la voce di un cambio nel ruolo di capogruppo alla Camera, con Giacomo Stucchi (maroniano) al posto di Marco Reguzzoni (bossiano-berlusconiano). Ieri sera è arrivata la quadra. Il Senatur, il ministro dell’Interno e Reguzzoni si chiudono in una stanza. Poi si presentano ai deputati con la mediazione: il capogruppo in carica, per acclamazione, resta fino a dicembre. Poi tocca a Stucchi, come richiesto esplicitamente da Maroni. «Sono soddisfatto dell’unanimità», ha detto alla fine il leader del Carroccio. «Non ci sono divisioni – ha commentato Reguzzoni –, siamo tutti intorno a Bossi, e io sono un bossiano integralista...». Ma i maroniani non hanno rinunciato a far capire che il loro "capo" non ha affatto piegato la testa, anzi avrebbe in qualche modo imposto il turn over alla fine dell’anno, anche in funzione di un’eventuale cambio di linea in Aula del Carroccio.Reguzzoni è anche al centro del tema-rimpasto. In Transatlantico si considera molto forte la sua candidatura per la poltrona di ministro delle Politiche comunitarie, lasciata vuota dal finiano moderato Andrea Ronchi. Sembrerebbe vicina anche la conclusione del rebus sul nuovo Guardasigilli. In pole position Anna Maria Bernini. Per qualche minuto si vocifera che Berlusconi abbia comunicato la sua decisione a Napolitano a margine dell’incontro di ieri - il Colle ha chiesto in altre occasioni un nome autorevole –, ma la cosa viene prontamente smentita dagli uomini più vicini al premier. Anche perché ogni scelta verrà compiuta dopo il Consiglio nazionale Pdl del primo luglio, in cui sarà ratificata la nomina di Angelino Alfano come segretario politico, con conseguente addio a via Arenula. Una data che sembra dietro l’angolo, ma che in realtà è ancora lontana: in mezzo ci sono nuove annunciate ondate di indiscrezioni mediatiche, e un insidioso dibattito in Aula, il 30 giugno, sul rifinanziamento delle missioni militari.
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