lunedì 24 agosto 2009
Pochi i laureati, non bastano a soddisfare la richiesta dei reparti. Per il reclutamento le aziende private si affidano alle agenzie interinali. Ecco i numeri di quella che assomiglia sempre più a un'emergenza.
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La crisi pesa sulle imprese e le assunzioni di personale straniero crollano in picchiata. Solo gli infermieri – di qualsiasi nazionalità essi siano - possono dormire sonni tranquilli: le loro abilità, assicura la recente ricerca di Unioncamere, continueranno a essere ricercatissime, perché di professionisti in corsia non ce n’è mai abbastanza. Nel nostro Paese ne mancano almeno sessantamila. L’emergenza infermieri di cui sempre più spesso si sente parlare, emergenza non lo è più da tempo. Perché non si tratta - vocabolario alla mano - di “una circostanza imprevista, accidentale, un momento critico che richiede un intervento immediato” quanto di una situazione incancrenitasi nel tempo. Nel nostro Paese, come certifica il rapporto Ocse 2008, ci sono più medici che infermieri: succede solo da noi e in Grecia. Non è un caso: da noi la figura dell’infermiere è da sempre considerata gregaria, relegata dall’immaginario collettivo a un ruolo subalterno, semplice comparsa di fianco al vero protagonista della sanità: il medico. Ma, altra novità stimolata dalla crisi – di questi tempi un percorso di studi capace di garantire un posto di lavoro è quanto mai appetibile –  i corsi di laurea in Infermieristica fanno il pieno di preiscrizioni, ci sono molti più candidati che posti a disposizione. Novità, sì, ma vale la pena di entusiasmarsi? Non proprio: «Spesso l’iscrizione alla facoltà di Infermieristica è la seconda o la terza scelta. Un ripiego. E si sa che gli studenti poco motivati non arrivano alla laurea. Il lavoro è difficile, bisogna sceglierlo con convinzione. Mentre gli infermieri stranieri, anche se sono preparati, vanno incontro a non poche difficoltà nei reparti». Cecilia Sironi è infermiera da una vita, lavora presso l’Azienda Ospedaliera «Macchi», a Varese, e insegna presso il corso di laurea in Infermieristica dell’Università degli Studi dell’Insubria: «Il primo problema per gli stranieri, comunitari e non,  è senz’altro la lingua. Nella nostra professione entrare in comunicazione con i malati è fondamentale per capirne i bisogni, prevenirne le necessità e trasmettere le informazioni. In che situazioni può finire per trovarsi chi non parla l’italiano? Puoi essere preparato fin che vuoi, ma se non sai leggere le istruzioni per la somministrazione di un farmaco...».Gran parte degli infermieri stranieri arriva in Italia attraverso agenzie di lavoro interinale che hanno sede nei Paesi di provenienza e che sono collegate con cooperative o agenzie italiane. A queste si rivolgono le aziende ospedaliere – prevalentemente private – che hanno bisogno di coprire uno o più  posti in organico: l’agenzia si fa carico di tutto, di trovare l’alloggio al candidato, di iscriverlo al Collegio infermieri della regione presso cui opererà. «Per ottenere l’iscrizione al Collegio naturalmente bisogna sostenere un esame – spiega Aurelio Filippini, presidente dell’Ipasvi di Varese – che consiste in una prova di italiano, una basata sulla conoscenza della deontologia professionale e un’altra improntata sulla normativa. Mi spiace dirlo ma non sempre e non dovunque gli esami sono accurati». Le agenzie di lavoro interinale reclutano quasi tutto il personale che in Lombardia si occupa dell’assistenza domiciliare, molti dei loro assistiti lavorano nelle case di riposo e nelle cliniche private: «La laurea o il diploma del personale straniero viene validata da un apposita commissione a Roma. Che prende in esame – spiega Filippini – solo titoli e crediti riportati sulla carta». Investire sulla formazione diventa quindi una priorità: «Bisogna che gli infermieri diventino un punto di riferimento per il paziente, una figura credibile, capace di dare risposte, orgogliosa del proprio insostituibile ruolo. E il personale motivato – riprende Cecilia Sironi – è quello forte della propria competenza, sulla cui formazione si è investito. Non sempre le facoltà di Infermieristica ottengono dalle aziende e dalle università risorse adeguate al compito. Se avessi più aule, potrei avere più studenti. Se ci fossero più studenti, ci sarebbero più infermieri».L'esperta Usa: «Non solo donne». La nostra è una delle popolazioni più vecchie del mondo: nel 2050 – lo prevedono i dati Istat – l’8 per cento degli italiani avrà più di 85 anni. E il sistema sanitario dovrà adeguarsi: se le cose rimarranno come sono, non sarà in grado di far fronte al cambiamento, in particolare per quanto riguarda il rinnovo e l’assunzione del personale paramedico. Ogni anno vanno in pensione 17 mila infermieri, le nuove assunzioni sono ottomila: i conti sono presto fatti e raccontano con la freddezza dei numeri un problema cocente. Gli infermieri scarseggiano, la professione non attira i giovani, bisogna rivolgersi all’estero per procurarsi gli operatori del settore: le previsioni dicono che quest’anno saranno assunti quasi seimila infermieri stranieri, comunitari e non. Del problema e di «Gli infermieri e l’assistenza» si parlerà, tra l'altro, giovedì 27 agosto al Meeting di Rimini: l’appuntamento è per le 19, nella Sala Tiglio A6 con Suzanne Gordon, docente alla School of Nursing dell’università del Maryland, e con Cecilia Sironi, Consigliera del Cnai (il Consociazione Nazionale delle Associazioni Infermieri). Suzanne Gordon infermiera non è. Anzi, racconta di come dell’esistenza degli infermieri non si fosse mai accorta, lei figlia di medico, avvezza alle corsie e agli ospedali. Quelle figure in camice bianco le sono apparse a lungo un po’ superflue, contorno alla professionalità del padre – quella sì – evidente. Poi per la Gordon, giornalista in carriera, c’è stata la prima gravidanza alla bella età di 39 anni e il contatto diretto con le infermiere che la accudivano in un momento di difficoltà. Prima si è appassionata alle persone, poi alla professione che le impegnava finendo per valutare come indispensabile la loro promozione agli occhi del mondo. Da allora – sono più di vent’anni – ha dedicato la sua penna a scrivere di sanità e di lavoro infermieristico, il suo acume a sviscerare i problemi della professione e a proporre soluzioni possibili. A raccolto storie professionali e vicende umane, ne ha fatto un best seller – «Life Support: tre infermiere in prima linea» – che ha venduto milioni di copie. «Il lavoro assistenziale degli infermieri – dice Gordon che sull’argomento ha scritto ben 12 volumi – è costantemente sottovalutato. Invece di spiegare l’assistenza come lavoro intellettuale – spiega – la si fa diventare qualcosa che le donne buone fanno in quanto donne e che alcuni uomini scelgono perché non sono dei tipici uomini». Ma all’assistenza bisogna dare un valore perché è basata sulle conoscenze, sulla preparazione: «Io non essendo un’infermiera e pur ritenendomi una persona capace di assistere – continua la giornalista – ucciderei i pazienti in pochi minuti con la mia sollecitudine».
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